Il timore di sviluppare un coagulo di sangue (trombo) responsabile della trombosi a seguito dell’uso prolungato della pillola contraccettiva è una realtà per diverse donne. Esistono però diversi tipi e diversi dosaggi di contraccettivo orale che, insieme ai risultati dell’ampia rivisitazione degli studi in letteratura permettono di affermare che i benefici sono superiori al rischio, peraltro molto basso, di sviluppare trombosi venosa. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) infatti ha dichiarato che il rischio esiste ma può interessare 5-12 donne su diecimila; inoltre, il rischio è influenzato da diversi fattori.
Ne parliamo con la dottoressa Elisa Casabianca, chirurgo vascolare di Humanitas San Pio X e il dottor Alessandro Bulfoni, responsabile di Ostetricia e ginecologia di Humanitas San Pio X.
Fattori che influenzano il rischio di trombosi
«Età, abitudine al fumo di sigaretta, ipertensione, sovrappeso, emicrania con aura, uno stile di vita sedentario o immobilizzazione, ad esempio dopo un trauma o un intervento chirurgico, sono fattori di rischio per la trombosi per le donne che assumono la pillola contraccettiva estroprogestinica – spiega il dottor Bulfoni -. Inoltre, il rischio di trombosi aumenta ulteriormente nelle donne che hanno una storia personale o familiare di trombofilia, che talvolta può essere non nota alla donna.
La trombofilia ereditaria – prosegue la dottoressa Casabianca – è una tendenza genetica al tromboembolismo venoso, ovvero a sviluppare coaguli di sangue venoso chiamati trombi, la cui causa è la presenza di diversi fattori quali il fattore V Leiden, mutazione del gene della protrombina, carenze della proteina S, della proteina C e dell’antitrombina. Nell’età giovanile, la frequenza di eventi trombotici è molto bassa, e pertanto gli esami di screening per la trombofilia ereditaria non vengono eseguiti alle donne che assumono contraccettivi orali, a meno che un parente di primo grado non abbia una trombofilia ereditaria e una malattia tromboembolica clinica.
Per questo motivo – sottolinea il ginecologo – la prescrizione della terapia estroprogestinica (la pillola contraccettiva) dovrebbe richiedere sempre un colloquio informativo preliminare tra la donna e il ginecologo, accompagnato da esami specifici per valutare il rischio di trombofilia. Infatti, ci sono categorie di donne per le quali la contraccezione estroprogestinica non è indicata, oppure vanno valutate altre opzioni contraccettive. Inoltre, in presenza di sintomi quali dolore o gonfiore alle gambe, improvviso affanno, respirazione accelerata, tosse improvvisa, dolore al petto, debolezza agli arti, è importante rivolgersi subito al medico per rivalutare la terapia contraccettiva o sospenderla».
Contraccezione post partum: necessario valutare il rischio di trombofilia
«Idealmente, la donna dovrebbe sapere se nella propria famiglia sono presenti casi di trombofilia ereditaria – prosegue la dottoressa Casabianca -. Tuttavia, le condizioni che possono aumentare il rischio sono diverse, come ad esempio nelle donne portatrici asintomatiche di trombofilia, ovvero che non hanno mai avuto episodi di trombosi nè personale nè in famiglia, e nelle donne nel post partum. Quest’ultimo – conclude il dottor Bulfoni – anche in assenza di ereditarietà per la trombofilia, rappresenta un rischio elevato per tutte le donne. Nelle donne che però hanno anche una storia familiare di trombofilia, la eventuale prescrizione della contraccezione dopo il parto dovrebbe essere valutata con il ginecologo. In generale, i contraccettivi che contengono estrogeni dovrebbero essere evitati nel post partum nelle donne che allattano e con elevata familiarità per la trombofilia, e per almeno sei settimane dopo il parto nelle donne con rischio medio di trombofilia».
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