Il travaglio di parto può insorgere spontaneamente o per induzione. In questo secondo caso si ricorre ad alcune particolari tecniche, farmacologiche e non, per provocare una modificazione del collo dell’utero e stimolare le contrazioni necessarie.
Esistono situazioni e motivazioni per le quali il ricorso all’induzione del parto è più che mai indispensabile per preservare la salute della donna e del nascituro.
Ne abbiamo parlato con la dottoressa Sarah Moretti Montefusco, ginecologa in Humanitas San Pio X di Milano.
Quali sono le tecniche utilizzate per indurre il travaglio?
“Le tecniche di induzione del travaglio di parto possono essere diverse e variano soprattutto in base al referto ostetrico”, spiega la ginecologa. “Se quest’ultimo non permette di utilizzare un’induzione farmacologica, si può procedere con altre procedure, come lo scollamento delle membrane”. Questa manovra, che permette di accelerare o indurre il travaglio, consiste nello scollare in modo meccanico le membrane amniocoriali della superficie interna del collo dell’utero. “Un’altra tecnica alla quale si ricorre per indurre il travaglio è l’amnioressi, ovvero la rottura artificiale delle acque della partoriente”, aggiunge la dottoressa.
E le tecniche farmacologiche?
“I farmaci più utilizzati per indurre il travaglio sono indubbiamente l’ossitocina e le prostaglandine. A seconda delle indicazioni all’induzione, essi vengono somministrati per diverse vie. Una di queste è quella vaginale, e il medicinale è rilasciato sotto forma di gel o di fettucce (cosiddette benderelle)”, risponde l’esperta.
L’induzione è utilizzata solo per dare inizio al travaglio?
“L’induzione è utile non solo per dare avvio al travaglio di parto, ma anche per mantenerlo. Nel caso di una manovra ostetrica durante un travaglio già in corso, può rendersi necessario il ricorso a una terapia farmacologica per garantire la regolare continuazione del travaglio stesso”, conclude la dottoressa.
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