La rottura della cuffia dei rotatori, ovvero quell’insieme di tendini e muscoli che stabilizza la spalla e ne garantisce forza e movimento, è tra le patologie più diffuse della spalla. I tendini interessati sono il sovraspinato e sottospinato – spiega il dott. Simone Cappato, responsabile della sezione di Chirurgia Artroscopica di spalla dell’Unità di Chirurgia Protesica e ricostruzione biologica articolare di Humanitas San Pio X – che tendono a rompersi più facilmente in chi svolge lavori manuali o attività sportive che richiedono gesti ripetitivi di sollevamento del braccio al di sopra del livello della testa. Anche l’età, specie dopo i 60 anni, è un fattore predisponente la rottura dei tendini che ha di frequente cause degenerative, mentre nei giovani può essere conseguente a un trauma. A volte, più cause possono coesistere e su una cuffia dei rotatori già degenerata per l’età, per esempio, si aggiunge un trauma che ne determina la rottura. In genere, i tendini, in particolare il sovraspinato, si rompono si rompono all’inserzione ossea omerale dove il tendine spesso entra in conflitto con l’acromion, un processo osseo della scapola, nel punto in cui il tendine è meno resistente a causa della pressione dell’osso sul tendine. In questo caso si parla di conflitto sub acromiale. Evidenze scientifiche hanno dimostrato che un tendine lesionato della cuffia dei rotatori non guarisce da solo. Anzi, nel tempo si retrae e, se non riparato la dimensione della lesione aumenta e possono comparire alterazioni del muscolo e della forza del braccio. Di solito, il paziente, preoccupato dal dolore notturno e dalle limitazioni funzionali specie nella rotazione ampia del braccio, si rivolge allo specialista: a questo punto, però, dalla rottura sono passati alcuni mesi.
Rottura della cuffia dei rotatori: si ripara in artroscopia
Si chiama sutura artroscopica la tecnica di riparazione chirurgica dei tendini della cuffia dei rotatori diventata una chirurgia di routine per gli esperti. «Si esegue con tre piccole incisioni di circa 1 cm e con l’aiuto di appositi strumenti che permettono, attraverso l’artroscopio, di suturare il tendine ancorandolo alla grande tuberosità omerale con piccolissime viti in titanio o materiale riassorbibile – prosegue Cappato -. Le viti permettono di veicolare fili ad alta resistenza che riparano il tendine, lo fissano, grazie a speciali nodi, all’osso e, in questo modo, avviene il reinserimento del tendine nella sua sede naturale. Da qui inizia il processo di guarigione biologica, che include anche il recupero di consistenza ed elasticità, diverso per ogni persona. L’intervento dura circa 30 minuti è mininvasivo, con tempi di recupero più rapidi rispetto alla chirurgia non artroscopica, grazie anche alla fisioterapia».
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