Circola sui social e sul web, la notizia che la carenza di vitamina D potrebbe, e si sottolinea “potrebbe” aumentare nella popolazione generale l’esposizione al contagio da COVID-19 e alle complicanze respiratorie associate.
Facciamo chiarezza con la dott.ssa Elena Volpini, pneumologa di Humanitas San Pio X.
A sostenerlo sono stati due docenti dell’Università di Torino, all’interno di una relazione in cui riflettono sul possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione delle infezioni respiratorie in generale, e pertanto ipotizzano anche il suo ruolo nel ridurre il rischio di contagio e complicanze respiratorie da COVID-19.
Sebbene vi siano numerose evidenze scientifiche e considerazioni epidemiologiche che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici, cioè nel sangue, di vitamina D sia necessario per prevenire numerose patologie croniche, tuttavia i due autori si spingono a ipotizzare come verosimile anche una maggiore resistenza all’infezione da COVID- 19. In realtà, non esiste attualmente alcuno studio scientifico che lo dimostri tantomeno l’articolo in questione che si limita a una rassegna del ruolo della vitamina D in diverse situazioni infettive polmonari. Attualmente non è provata l’efficacia dell’assunzione di integratori di vitamina D per combattere le complicanze respiratorie da coronavirus, tantomeno la polmonite interstiziale che è la più grave delle complicanze di COVID-19, specie negli anziani, nelle persone con altre patologie, e nelle persone già contagiate.
Vitamina D e Covid-19: ci vuole cautela
Le notizie che circolano e indicano nella somministrazione endovenosa di calcitriolo, ovvero la forma attiva della vitamina D, ai malati COVID-19 con funzioni respiratorie già compromesse, è al momento oggetto di discussione all’interno della comunità scientifica, ma non rappresenta alcuna raccomandazione né per la prevenzione nei soggetti fragili (anziani, immunodepressi), né per la riduzione dei sintomi respiratori in chi ha già sviluppato l’infezione. Infatti, sebbene come rilevano anche gli esperti di Torino, sia stata segnalata una diffusa carenza di vitamina D nei pazienti ricoverati per COVID-19, la carenza di tale vitamina è molto diffusa e comune in particolare nei pazienti affetti da diverse comorbilità, cioè diverse malattie presenti nello stesso paziente, che sono proprio quelli in cui il virus determina i danni più gravi. Questo dato quindi non è sufficiente a dimostrare una relazione diretta tra carenza di vitamina D e rischio aumentato di contrarre l’infezione da coronavirus e sono necessari ulteriori studi randomizzati e controllati per dimostrarlo. Al momento la comunità scientifica non dispone ancora delle evidenze necessarie per stabilire se la vitamina D sia efficace nella battaglia contro l’infezione da coronavirus. In questi momenti di emergenza la cautela è d’obbligo soprattutto nella diffusione di informazioni non istituzionali e non verificate che riguardano gli effetti benefici o protettivi di vitamine o farmaci che non sono supportate da evidenze scientifiche.
Come sempre, in questa situazione di emergenza, invitiamo a seguire le informazioni diffuse sui canali ufficiali (OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità).
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