I timori delle persone nei confronti dei vaccini contro COVID-19, specie il vaccino Vaxzevria-AstraZeneca, e sulla loro sicurezza, nascono dalle informazioni contraddittorie che circolano. Superare diffidenza e timore sulla base di dati condivisi dalla comunità scientifica è fondamentale per riuscire a combattere con la vaccinazione della comunità, a partire dagli anziani e dalle categorie fragili, il virus SARS-CoV-2.
Di dati sui vaccini parliamo con il professor Alberto Mantovani, Direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University.
Efficacia, protezione, sicurezza dei vaccini: quali sono i dati
In merito alla protezione, i dati raccolti in Sud America, negli USA e in Inghilterra sull’utilizzo del vaccino Vaxzevria-AstraZeneca, in particolare, ma anche di altri vaccini a mRNA (come Pfizer e Moderna) sono molto rassicuranti. Dagli Stati Uniti, arrivano dati rassicuranti sulla protezione che arriva al 76% negli individui vaccinati, all’80% negli over 65, e al 100% contro le complicanze gravi in chi sviluppa malattia COVID-19.
Sulla sicurezza, specie per quanto riguarda i timori che derivano dall’insorgenza di rare forme di trombosi dopo la somministrazione del vaccino, i dati ci dicono che sono eventi estremamente rari. Nel Regno Unito, i casi di trombosi sono stati 80 su circa 20 milioni di persone vaccinate: circa la metà degli 80 casi sono stati riscontrati in chi ha ricevuto vaccini a piattaforma mRNA e metà in chi ha assunto vaccini a piattaforma adenovirus. Si stima quindi che si possa sviluppare 1 evento trombotico ogni 100.000 – 250.000 persone: un rischio piuttosto basso rispetto al rischio di COVID-19.
L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) rileva inoltre che l’utilizzo del vaccino Vaxzevria-AstraZeneca non aumenti la frequenza di tromboembolia.
Infine, è oggetto di studio quali siano le cause scatenanti delle reazioni avverse: tra le ipotesi, una risposta dell’organismo al vaccino o alla piattaforma utilizzata (adenovirus), che potrebbe comportare una produzione di autoanticorpi che provocano disturbi della coagulazione. Si tratta comunque di un evento molto raro già registrato in pazienti curati con eparina, un farmaco usato quotidianamente da ormai cento anni in tutti gli ospedali – spiega il professor Mantovani -.
D’altra parte, circa l’8-11% dei pazienti interessati da COVID-19, come è stato accertato, sviluppa tromboembolia venosa, e il dato raggiunge il 20-25% per i pazienti ricoverati in terapia intensiva. Il rischio di trombosi associato al COVID-19 è quindi nettamente più altorispetto al vaccino”.
Perchè anziani e categorie fragili devono essere vaccinati prima?
“La scelta intrapresa dall’Italia di vaccinare per età e non per categoria è saggia, poiché
Il livello della mortalità della malattia da COVID-19 sale nelle persone di età avanzata. La scelta del nostro Paese di vaccinare gli anziani a partire dagli over 80 e passando agli over 65 è quindi saggia per mettere anziani e pazienti fragili in sicurezza sia per il proprio bene, sia per il bene della comunità. Infatti, proteggere queste categorie evita di sovraccaricare il sistema sanitario, le terapie intensive e gli spazi ospedalieri, liberandoli per tutti quei pazienti affetti da tumore o da patologie cardiovascolari che, dall’inizio della pandemia, destano grande preoccupazione tra gli specialisti – continua il professore -. Per questi motivi, e per indurre una adeguata risposta immunitaria, chi ha già ricevuto la prima dose di Vaxzevria-AstraZeneca non dovrebbe rimandare o disdire la somministrazione della seconda dose dello stesso vaccino, dal momento che non abbiamo ancora dati sugli effetti provocati dall’incrocio di vaccini diversi, altamente sconsigliato.
Anziani e categorie fragili: chi ha avuto il COVID-19 deve vaccinarsi?
«Anche chi ha avuto il COVID-19 in maniera sintomatica – continua il professor Mantovani – e ha, dunque, sviluppato un grado di anticorpi abbastanza elevato dovrebbe vaccinarsi, ma in questo caso basta un’unica dose, a 3-6 mesi dalla malattia, per raggiungere il grado di protezione ottimale. La protezione, infatti, per gli over 65 che hanno già sviluppato COVID-19 è stimata intorno al 47%».
Vaccini: proteggono dalle varianti?
“Una delle nuove sfide nella lotta contro COVID-19 è rappresentata dalle varianti, in particolare quella nota come “variante inglese”, predominante del nostro Paese, più infettiva e forse più letale. I vaccini sono efficaci contro questa variante, meno contro la variante “sudafricana”. La presenza di varianti è un altro buon motivo per vaccinarci: la vaccinazione, infatti, allena il sistema immunitario e sembra prepararlo a una migliore risposta a eventuali richiami con vaccini diretti contro le varianti. Infatti, contro le varianti potrebbero verosimilmente essere necessari ulteriori richiami vaccinali, anche tra diversi anni, proprio come accade abitualmente con l’influenza, e la somministrazione dei vaccini di oggi aiuterà il nostro organismo a rispondere correttamente ai richiami a cui verrà sottoposto negli anni a venire. E questo è un ulteriore motivo, ancora più rilevante, per continuare a mantenere un buon livello di produzione dei vaccini: infatti, i dati ci indicano che dopo l’iniezione, il tempo di protezione è di circa 8 mesi. Ci auguriamo che la protezione duri 1-2 anni».
I vaccini nel mondo, tra etica e sicurezza
«Dalla pandemia COVID-19 dobbiamo pensare che usciremo tutti insieme – conclude il professor Mantovani -. Ricordiamo che da Paesi con meno risorse arrivano due delle varianti più preoccupanti, quella brasiliana e quella sudafricana: pertanto, è fondamentale vaccinare e condividere i vaccini anche con il ‘sud del mondo’, facendo arrivare vaccini. Questo non significa toglierli al proprio Paese: infatti, ci sono produttori diversi per gli uni e per gli altri Paesi.
Pertanto, l’invito e l’appello è a unire l’impegno etico e la solidarietà globale, alla sicurezza che non può prescindere dal condividere i vaccini per raggiungere l’immunizzazione globale».
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