Cosa sono?
Le patologie vulvari sono affezioni che riguardano la vulva, cioè la parte esterna dell’apparato femminile. Si tratta di problematiche di interesse crescente per i ginecologi, a cui le pazienti si rivolgono non appena notano delle anomalie, e anche di società scientifiche tra cui la ISSVD (Società Internazionale per lo studio della patologia vulvare), dedicata a fornire costantemente indicazioni precise su terminologia e classificazione di dermatosi vulvari, lesioni preneoplastiche e vulvodinia.
Ci sono delle tipologie particolari?
A carico della vulva possono svilupparsi dermatiti, malformazioni, lesioni preneoplastiche e neoplastiche. In particolare:
- dermatosi vulvari (psoriasi, dermatite seborroica, lichen planus), rappresentano circa il 5-7% di tutte le patologie vulvari
- lichen sclerosus e iperplasia cellulare squamosa, si formano a seguito di dermatiti irritative o atopiche croniche. Sono considerate lesioni benigne ma che potenzialmente possono evolversi in neoplasie (3-5% dei casi). Tuttavia, la risposta alla terapia medica è buona
- neoplasie preneoplastiche intraepiteliali, conosciute anche come “lesioni VIN”, sono sempre più frequenti nelle giovani donne e specialmente nelle pazienti colpite dall’HPV. Le lesioni VIN possono essere lesioni di basso grado (L-VIN) che corrispondono alle infezioni con effetto citopatico virale da HPV (condilomi) oppure lesioni di alto grado (H-VIN) che spesso richiedono una terapia chirurgica escissionale.
Quali sono i sintomi?
In genere le patologie vulvari, di qualsiasi tipo, sono asintomatiche. Tuttavia, quando presenti, i sintomi più comuni sono: prurito, bruciore, tracce ematiche, dolore durante il rapporto sessuale (dispareunia).
Come si diagnostica?
La diagnosi delle patologie vulvari inizia con l’individuazione della lesione. Successivamente, l’esame più importante per la corretta diagnosi delle patologie vulvari è il prelievo bioptico, ovvero l’asportazione di una piccola quantità di tessuto che poi verrà sottoposto a esame istologico in laboratorio. Prima dell’esame, la zona interessata viene disinfettata e anestetizzata. Per quest’ultima operazione viene infiltrato un anestetico locale tramite un ago sottile per uso intradermico. Successivamente, il prelievo bioptico può essere incisionale (finalizzato unicamente alla diagnosi) oppure escissionale (con anche un fine terapeutico). Il prelievo può essere effettuato con l’utilizzo di questi strumenti:
- pinza di Keyes: cilindretto metallico con margine tagliente adatto per biopsie a stampo
- bisturi a lama fredda: permette di modulare sia la profondità sia l’estensione del prelievo. I margini della ferita devono essere suturati in maniera lineare, applicando punti staccati.
- ansa diatermica: evita la successiva sutura grazie alla modalità della funzione di taglio e coagulo.
Come si curano?
La cura varia sulla base della natura della patologia (dermatiti, neoplasie, ecc.). Fondamentale è non sottovalutare i sintomi e rivolgersi al ginecologo o medico curante in caso di sintomi.