In Humanitas San Pio X si fa il punto sulla protesica dell’anca con il dott. Federico D’Amario, responsabile di Ortopedia protesica e Ricostruttiva di anca e ginocchio di Humanitas San Pio X e chairman del congresso “Presente e futuro della protesizzazione e ri-protesizzazione dell’anca” che si è tenuto il 18 ottobre a Milano.
Artrosi, displasia, lussazione, necrosi della testa del femore, traumi possono colpire l’articolazione dell’anca di uomini e donne di ogni età, non solo anziani. «Si è ridotta l’età media dei pazienti che oggi si sottopongono a un primo intervento di protesi d’anca – dice il dott. Federico D’Amario, chairman del congresso –, mentre la richiesta funzionale dei pazienti è aumentata rispetto al passato. Questo è stato possibile grazie alle sempre maggiori conoscenze sulla biologia dell’osso, la realizzazione di protesi performanti, durature, a ridotto impatto estetico e soprattutto che possano essere impiantate con tecniche mininvasive. Se nel passato era abbastanza raro che la protesi d’anca permettesse al paziente di condurre la propria vita quotidiana e avesse una lunga durata, oggi invece questi sono requisiti di base della chirurgia protesica in generale. Inoltre, in passato si cercava di aspettare che il paziente raggiungesse “l’età per la protesi”, in modo da evitare il rischio di re-intervento dovuto all’usura della protesi. Oggi, l’evoluzione di tecnica chirurgica e tecnologia dei materiali ha permesso anche di ridurre il ricorso agli interventi di revisione, come ha sottolineato il mio maestro, il dott. Sergio Romagnoli. L’intervento di revisione della protesi, oggi, ha indicazioni precise come sepsi e instabilità articolare».
50 anni di protesi: cosa è cambiato
Le prime protesi, negli anni ’70, richiedevano interventi invasivi, lunghe degenze per il paziente, immobilità prolungata, e incertezza di successo. «L’articolazione malata veniva completamente sostituita dalla protesi – continua il dott. Federico D’Amario -, il taglio chirurgico e la via d’accesso avevano un impatto estetico importante, ed era frequente il rischio di lussazione dopo l’intervento, ovvero la fuoriuscita della parte femorale della protesi (stelo) dalla sede acetabolare nell’anca. Dagli anni ’80 lo studio della biomeccanica, lo sviluppo della bioingegneria e la conoscenza della biologia dell’osso intorno alla protesi (trofismo dell’osso,) hanno definito una svolta nella tecnica chirurgica protesica che oggi, anche grazie al design di nuovi steli protesi è mininvasiva, rispetta il trofismo dell’osso, ripristina e corregge la biomeccanica dell’articolazione, risparmia l’osso dell’acetabolo, la cavità nel bacino che accoglie la testa del femore e permette il movimento della gamba».
Pianificazione preoperatoria: ecco come viene scelta la protesi d’anca
Ogni paziente ha caratteristiche uniche che lo rendono diverso da ogni altra persona anche nella forma del femore. «La scelta del tipo di intervento, di accesso chirurgico e di protesi – spiega il dott. Federico Della Rocca, ortopedico di Humanitas San Pio X e relatore al congresso – richiede pianificazione preoperatoria, ovvero il chirurgo disegna una sorta di “mappa” dell’intervento e quali sono i risultati migliori possibili, tenuto conto delle caratteristiche del paziente e del tipo di protesi scelta. La pianificazione si esegue con gli esami diagnostici necessari per l’intervento, quali Rx, RMN e talvolta TC, che permettono a chirurgo di valutare e poi scegliere anche il tipo di stelo femorale che utilizzerà per quel paziente. Infatti, esistono diversi tipi di steli femorali, ovvero la parte della protesi che si inserisce nell’osso femorale. La scelta, oggi supportata anche da sistemi digitali 3D associati alle informazioni della diagnostica per immagini, tiene conto di caratteristiche quali l’età, la presenza di comorbidità, ovvero di altre patologie come diabete, patologie autoimmuni o cardiovascolari, obesità, ma anche della qualità dell’osso, come la presenza di osteoporosi, e della richiesta funzionale del paziente dopo l’intervento. Esistono quindi steli protesici diversi per pazienti attivi, sportivi e giovani, e per pazienti anziani con basse richieste funzionali. Si tratta di protesi sicure, efficaci e anatomiche che rispondono, in tutti i casi, a requisiti di mininvasività. Oggi, rispetto al passato, la chirurgia protesica non è più solo di sostituzione dell’articolazione ma anche di ricostruzione della biomeccanica dell’anca».
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