Si stima che circa il 13% delle persone che hanno avuto il COVID-19 abbia problemi a medio-lungo termine. Il Long-COVID è definito dalla persistenza di sintomi generali e specifici da 4 a oltre 12 settimane senza che possano essere spiegati da altra condizione. Si tratta di sintomi generali che includono stanchezza, mal di testa, dolori muscolari e articolari, peggioramento dello stato di salute percepito e anoressia. I sintomi specifici che coinvolgono l’apparato respiratorio sono essenzialmente rappresentati dalla difficoltà respiratoria e tosse. Sebbene non frequenti, in alcune persone il COVID può avere conseguenze di varia entità sui polmoni.
Ne abbiamo parlato con la dottoressa Elena Volpini, medico specialista in Malattie dell’Apparato Respiratorio di Humanitas San Pio X.
Polmonite da COVID: cosa fa il virus ai polmoni?
La polmonite da COVID è una infezione polmonare di intensità variabile che si sviluppa nel 5% delle persone che contraggono la malattia in forma severa, che richiedono cure ospedaliere. Sebbene la maggior parte delle persone che ha contratto l’infezione da SARS-COV-2 non abbia avuto sintomi respiratori gravi, tuttavia quando il virus colpisce i polmoni, vengono compromessi gli scambi gassosi.
Nelle forme più gravi, la polmonite COVID, che clinicamente è classificata come polmonite interstiziale, può aggravarsi fino alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) caratterizzata sia dal danno polmonare che dalla tempesta di citochine, le molecole infiammatorie rilasciate dal nostro sistema immunitario. In questo caso, la persona non riesce a respirare normalmente, non avvengono gli scambi di ossigeno e anidride carbonica, l’ossigenazione dei tessuti scende ed è necessario il supporto respiratorio esterno con ossigeno o ventilazione assistita. Il risultato dell’infezione polmonare COVID sui polmoni sono “cicatrici” nel tessuto polmonare che contribuiscono a rendere difficoltosa la respirazione anche dopo la guarigione dall’infezione acuta.
Chi è più a rischio di danno polmonare?
Il danno polmonare come conseguenza della polmonite COVID dipende da diversi fattori, primo fra tutti la gravità della malattia, e dalle condizioni di salute preesistenti all’infezione. Infatti, si è visto che patologie già presenti come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), tumori, malattie autoimmuni, e stati di immunodeficienza possono aumentare il rischio di forme gravi di polmonite COVID. Inoltre, la rapidità dell’intervento medico adeguato alla comparsa della difficoltà respiratoria è fondamentale per il recupero polmonare dopo la guarigione dall’infezione.
Quali sono gli effetti a lungo termine sui nostri polmoni?
Nelle forme più lievi, la guarigione da polmonite COVID è completa in circa 7-10 giorni senza conseguenze (sequele) a livello polmonare. Nei casi più gravi, invece, la guarigione polmonare è più lenta, può richiedere anche 3-6 settimane, e possono perdurare effetti a lungo termine.
In alcune persone, soprattutto anziani di sesso maschile con pregresse malattie, per le quali è stato necessario un ricovero in terapia intensiva o un lungo periodo di supporto ventilatorio, è stato documentato un incremento del 20% dello sviluppo di fibrosi polmonare, un’alterazione grave e irreversibile del polmone. Si tratta di una conseguenza rara, di cui ancora non si conoscono appieno i meccanismi di insorgenza, con quadri variabili di estensione e gravità.
Inoltre, nelle persone che hanno avuto forme più severe di polmonite COVID, gli effetti possono variare da una tosse cronica, a fibrosi polmonare, e alterazioni vascolari del distretto polmonare, associate a difficoltà a respirare (dispnea) e al perdurare di un’insufficienza respiratoria che richiede il proseguire dell’ossigenoterapia.
Quando rivolgersi a uno specialista?
Il protrarsi di sintomi quali tosse e disturbi respiratori, associati o meno ad altri sintomi di Long COVID (stanchezza, dolore muscolare, mal di testa, affaticamento, ad esempio) richiede la valutazione di uno specialista per escludere eventuali danni polmonari. Saranno necessari esami di approfondimento come ad esempio le prove di funzionalità respiratoria e, se confermata la presenza di danno d’organo, la somministrazione di terapie specifiche.
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