Parte fondamentale di terapia e assistenza al malato, il Centro Parkinson di Humanitas San Pio X si prende cura anche dei caregiver con formazione multidisciplinare e supporto.
Chi conosce la malattia di Parkinson sa che non è solo tremore e difficoltà di movimento. “Nei primi 5-10 anni della malattia, tecnicamente detti “luna di miele”, grazie ai farmaci la vita del malato e della famiglia è normale – spiega il dott. Luigi Manfredi, medico di Neurologia di Humanitas San Pio X –. Con il progredire della malattia, anche a causa dei lunghi tempi di svuotamento gastrico, è sempre più difficile trovare il dosaggio efficace per il controllo dei sintomi, il paziente perde la sua identità ed è necessaria un’assistenza continua. Si tratta di un momento di difficile accettazione che richiede un approccio multidisciplinare di cura sia verso il malato sia verso i caregiver”.
Non solo farmaci
Multidisciplinarietà, pazienza, disponibilità e competenze che vanno oltre l’aspetto farmacologico della malattia, hanno favorito la nascita di attività per caregiver e pazienti. “Attività di riabilitazione motoria e gruppi di supporto fanno parte della terapia – continua la dott.ssa Francesca Mancini, responsabile del Centro Parkinson e Disordini del Movimento di Humanitas San Pio X –. Organizziamo incontri mensili con molti esperti: dal logopedista, per linguaggio e deglutizione, all’urologo, dal gastroenterologo al fisiatra, fino al nutrizionista e agli psicologi, con un’attenzione particolare alla comunicazione pensata specificamente per il paziente e i suoi famigliari.
Durante i seminari, oltre a trattare argomenti pratici che riguardano la malattia e dare suggerimenti ai caregiver sulla gestione dello stress, pazienti e parenti condividono esperienze e soluzioni, con la mediazione del neurologo che facilita la comunicazione e lo scambio di idee, parlando anche di argomenti dolorosi, fuori dall’asettico ambiente ambulatoriale che ha tempi limitati”.
L’importanza del rapporto paziente-caregiver-medico
Alcuni sintomi della malattia, o complicanze della terapia, sono di difficile gestione e spesso non hanno una soluzione farmacologica. “Problemi come iperfagia o gioco d’azzardo patologico (disturbi del controllo degli impulsi), allucinazioni visive o alterazioni del contenuto dei pensieri (delirio persecutorio o di gelosia) e disturbi del sonno possono interferire nella vita del paziente e dei suoi famigliari, richiedendo talvolta terapie con farmaci antipsicotici – spiega l’esperta –. In questi casi il rapporto paziente-caregiver-medico è ancora più importante sia per educare sia per affrontare il passaggio dalla “luna di miele” alla fase avanzata della malattia e alle terapie complesse. In questi casi e in pazienti selezionati è possibile ricorrere a terapia infusionale con somministrazione continua di levodopa in gel direttamente nello stomaco, o infusione continua sottocutanea di un farmaco simile alla dopamina (apomorfina), oppure effettuare l’intervento chirurgico di impianto di stimolatori cerebrali profondi. Ognuna di queste scelte comporta decisioni difficili per la famiglia, che è supportata e facilitata sia nella comunicazione con il medico sia nell’accesso a tutte le risorse disponibili grazie all’ambulatorio di Terapie Complesse Parkinson dedicato a pazienti e caregiver”.
Le 5 fasi di elaborazione della malattia che affrontano pazienti e famiglia
Fase 1: negazione
Non posso crederci, non sta accadendo davvero
Fase 2: rabbia
Perché proprio a me?
Fase 3: contrattazione
Vediamo cosa si può fare, superare questa fase mi renderà più forte
Fase 4: depressione
Non c’è via d’uscita, questa vita è un inferno
Fase 5: accettazione
È andata così
Dalla prima all’ultima fase, il team di psicologi e specialisti del Centro Parkinson supportano il malato e la sua famiglia
Ricerca, effetto dei farmaci e svuotamento gastrico
Secondo lo studio condotto dal Servizio di Medicina Nucleare e dal Centro Parkinson di Humanitas San Pio X, pubblicato su Clinical Nuclear Medicine, lo svuotamento gastrico rallentato nelle persone con Malattia di Parkinson, causato dalla stessa terapia, richiede dosi maggiori di farmaco per ottenere gli effetti clinici desiderati. La levodopa deve essere assimilata velocemente nello stomaco e trasportata al cervello, “scortata” dagli inibitori del farmaco: a causa dello svuotamento gastrico rallentato, nel sangue dei pazienti si trovano alti livelli di dopamina (levodopa) e di inibitori non arrivati al cervello. Questo spiega perché la terapia deve essere continuamente ridosata sugli effetti clinici del paziente.
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