I disturbi del pavimento pelvico (prolassi mono e pluri compartimentali, incontinenza fecale e urinaria e dolore pelvico cronico) sono in genere causati da una patologia che coinvolge più distretti del pavimento pelvico (vescica, utero, anoretto). Pertanto, il percorso diagnostico-terapeutico richiede necessariamente un approccio multidisciplinare con specialisti di ciascun distretto coinvolto. «Questo approccio multidisciplinare è il reale punto di forza per permettere al paziente, molto spesso donna over 60, di ricevere un corretto percorso diagnostico e quindi la terapia specifica per risolvere i suoi disturbi, nel minor tempo possibile – spiega il professor Jacques Lucien Megevand, responsabile di Chirurgia Generale e del Centro del Pavimento Pelvico di Humanitas San Pio X -. Spesso infatti, se non diagnosticati in modo adeguato da specialisti del pavimento pelvico, i disturbi possono essere trattati singolarmente, ovvero sulla base del sintomo principale, mentre invece la patologia del pavimento pelvico è polidistrettuale. Anche il trattamento può prevedere approcci diversi, farmacologici, riabilitativi o chirurgici, sulla base dei risultati della diagnosi funzionale e morfologica che ha anche l’obiettivo di escludere eventuali patologie oncologiche di questo distretto corporeo che devono essere trattate e seguite secondo linee guida specifiche».
Chirurgia del pavimento pelvico: quando è necessaria?
«A seconda dei casi, e quando la riabilitazione non è indicata o non ha più i benefici attesi – continua l’esperto -, è necessaria una valutazione per la chirurgia del pavimento pelvico, che poi viene eseguita per via perineale (transanale e/o transvaginale) o addominale, laparoscopica o robotica. In tutti i casi, la chirurgia ricostruttiva del pavimento pelvico prevede un approccio personalizzato e multidisciplinare dal momento che queste patologie del pavimento pelvico coinvolgono più frequentemente distretti diversi come nel caso dei prolassi che possono manifestarsi a livello di retto, vescica e utero (uro-genitale ), con stipsi e/o incontinenza degli sfinteri (fecale e/o urinaria). In questi casi, il chirurgo proctologo, il ginecologo e l’urologo lavorano insieme alla pianificazione dell’intervento. Obiettivo della chirurgia del pavimento pelvico è ricostruire e riposizionare le strutture pelviche per correggere i disturbi da alterata funzionalità del complesso sistema pelvico, preservando il più possibile l’anatomia e le funzioni fisiologiche (vescicale, rettale e sessuale). Si tratta di una chirurgia molto più conservativa e mininvasiva rispetto al passato, come nel caso di interventi per le emorroidi che ha l’obiettivo di riportare il plesso emorroidario nella sua sede naturale, all’interno dell’ano, e non eliminarlo. Lo stesso in caso di prolasso uterino, ovvero della discesa di utero, in cui la rimozione dell’utero è ormai una chirurgia che non si effettua più, e in caso di utero disceso ma sano, l’intervento ha l’obiettivo di riposizionare l’utero in sede e ripristinare la sua funzionalità».
Chi opera il pavimento pelvico?
«Se un tempo il chirurgo proctologo era definito come lo specialista delle patologie di colon-retto e ano, oggi invece è il medico di riferimento per le patologie del pavimento pelvico e non solo quando si manifestano con disturbi di tipo intestinale, addominale o perianale. Infatti, anche in presenza di disturbi principali di tipo ginecologico, o urologico, se c’è il sospetto dell’interessamento del pavimento pelvico, il ginecologo o l’urologo coinvolgono il chirurgo proctologo in tutte le fasi del percorso diagnostico-terapeutico, e nel follow-up dopo l’intervento».
-
2.3 milioni visite
-
+56.000 pazienti PS
-
+3.000 dipendenti
-
45.000 pazienti ricoverati
-
800 medici