La stitichezza è un disturbo molto diffuso, in particolare nelle donne, e si tratta di un’evacuazione difficoltosa o infrequente. Il disturbo può avere carattere transitorio o cronico e può essere tenuto sotto controllo con alcuni interventi sullo stile di vita, come una corretta alimentazione ricca di fibre, un’adeguata idratazione, un regolare esercizio fisico, l’assunzione di integratori e farmaci.
In alcuni casi però, questi rimedi non sono sufficienti ed è dunque necessario ricorrere alla chirurgia, come ha spiegato il dottor Leonardo Lenisa, specialista del Centro del Pavimento Pelvico di Humanitas San Pio X, in un’intervista.
La stitichezza da rallentato transito intestinale
“In generale, ci sono due grosse categorie di stipsi di attenzione chirurgica. Una è considerata tradizionalmente la stipsi da rallentato transito ed è una condizione patologica in cui l’intestino perde la capacità naturale di progredire; si tratta di colon discinetici che non sono più capaci di camminare da soli nonostante un utilizzo intensivo di presidi sanitari.
In casi molto rari e selezionati, i pazienti che ne soffrono possono andare incontro a chirurgia; si tratta tuttavia di interventi rari, un po’ demolitivi e gravati da una certa percentuale di complicanze”, spiega il dottor Lenisa.
La stitichezza dovuta a cedimento del pavimento pelvico
“Molto più frequentemente invece, soprattutto nelle donne in età post-menopausale o che hanno avuto figli con parti naturali, possono esservi dei cedimenti degli apparati di sostegno del pavimento pelvico e in questo senso, il prolasso del retto, l’intussuscezione o invaginazione rettoanale, il rettocele ed anche la coesistenza di un prolasso genitale, possono costituire un obiettivo chirurgico ideale, la cui correzione riduce anche i sintomi correlati.
In generale infatti, in questi pazienti, si ha un’evacuazione alterata intesa sia come capacità di contenere le feci adeguatamente, sia di espellerle correttamente; un disturbo che può riguardare sia il compartimento posteriore sia quello anteriore, con un impatto sulla efficacia della funzione sia urinaria sia fecale”, ha concluso lo specialista.
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