Almeno una volta nella vita, ciascuno di noi ha provato dolore per vari motivi e di varia intensità. «Il dolore, per sua natura, è un campanello d’allarme – spiega il dott. Marco Lacerenza, neurologo esperto in terapia del dolore di Humanitas San Pio X -, un sistema di difesa necessario per avvisare della presenza di una minaccia per l’organismo attuale o potenziale. Da non sottovalutare quando compare, il dolore, acuto o cronico che sia, è definito dalla IASP (International Association for the Study of Pain) come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale in atto o potenziale”. Il dolore acuto, quindi, è tutto quello che ognuno di noi ha provato almeno una volta nella vita ed è in stretta relazione causale e temporale con un danno che può essere un trauma, una malattia, un intervento chirurgico, uno stato infiammatorio che colpisce la pelle, le articolazioni, gli organi interni o i muscoli. E’ proprio la relazione stretta tra dolore, causa che l’ha provocato e durata che distingue il dolore acuto da quello cronico».
Dolore: acuto o cronico, dipende dalla sua durata
«Si considera acuto un dolore che dura fino a un mese – continua l’esperto -. Un dolore legato ad un trauma o la colica renale, sono esempi di dolore acuto. Compare improvvisamente dolore severo a livello del fianco, talvolta irradiato all’inguine e alla radice dell’arto inferiore, più o meno associato a sintomi urinari. Per questo solitamente è necessario rivolgersi al pronto soccorso o alla guardia medica per il trattamento e la diagnosi del caso. Scatenato dalla presenza di un calcolo nell’uretere, il dolore da colica renale è considerato un dolore grave che si cura, e passa, con antinfiammatori e spasmolitici somministrati, a seconda del caso, con iniezioni intramuscolari o per via endovenosa. Ogni dolore acuto, però, viene trattato in base alla sua causa con la terapia standard migliore per quel tipo di dolore e quel tipo di paziente. Pertanto, il dolore da cefalea acuta sarà trattato in modo diverso dal dolore muscolare da miosite, o da colica renale. Molto diverso, invece, è il dolore cronico sia per durata, che è superiore ai 3 mesi, sia per i meccanismi che lo sostengono nel tempo. Infatti, il dolore cronico è un tipo di dolore che ha perso la sua funzione di campanello d’allarme e diventa una vera e propria malattia».
Malati di dolore: una malattia cronica che può durare anni
Già nel 2001, la European Federation of IASP Chapters definiva il dolore cronico come malattia. «Si tratta di una condizione, spesso di tipo neuropatico, disconnessa temporalmente dalla malattia originaria – prosegue l’esperto -. Un esempio evidente è la nevralgia erpetica o fuoco di Sant’Antonio, che si manifesta con un’eruzione cutanea dolorosa che dura circa 15-20 giorni, trattata con farmaci antivirali specifici. Mentre la cute guarisce in circa un mese, è frequente che, specie nei grandi anziani, il paziente sviluppi un dolore cronico che può durare nel tempo, anche di intensità molto grave, disconnesso dalla lesione cutanea, ormai guarita, presente all’esordio. Il perdurare del dolore nei casi di dolore cronico è spesso associato alla presenza di un danno del sistema nervoso somatosensoriale centrale o periferico. Ictus, sclerosi multipla e traumi spinali sono tra le cause più frequenti di dolore centrale; radicolopatie, nevralgia post erpetica, traumi nervosi o neuropatia diabetica, sono tra le cause principali di dolore periferico. Altre volte il dolore cronico può non essere di tipo neuropatico ed essere in relazione a malattie degenerative come l’artrosi o ad ischemie critiche degli arti. Per sua natura il dolore cronico si associa spesso a disturbi psichici, come ansia, depressione, attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress o abuso di sostanze, che possono essere in stretta relazione al dolore o già presenti nella storia del paziente. Queste condizioni vanno indagate, curate ed è importante tenerne conto nella terapia del dolore».
Da 1 a 10, quanto fa male?
Quanto è difficile spiegare il tipo e l’intensità del dolore quando viene chiesto “quanto fa male?”. «Infatti, non esistono strumenti oggettivi per valutare quanto dolore sente il paziente – continua il dott. Lacerenza -, e neppure noi esperti di terapia del dolore siamo in grado di interpretare l’intensità del dolore del paziente a prescindere della sua testimonianza diretta. Per questo motivo, facciamo riferimento a scale, scientificamente validate, come la scala di valutazione numerica del dolore da 0 a 10, ponendo al paziente questa domanda: “Se 0 equivale a nessun dolore e 10 al più forte dolore che lei possa immaginare di avere, su una scala da 0 a 10, qual è il numero che meglio corrisponde all’intensità del suo dolore?”. In alternativa, nei pazienti che presentano difficoltà di utilizzo di una scala numerica, può essere chiesto di indicare l’intensità del dolore secondo una scala verbale a 5 descrittori 1) nessuno, 2) lieve, 3) moderato, 4) grave, 5) gravissimo.
Il dolore nei bambini si può misurare anche con faccine tristi o allegre a scalare che riproducono la loro condizione rispetto al dolore; scale più complesse anche con descrittori comportamentali sono utilizzate per i pazienti con declino cognitivo.
Terapia del dolore: cosa significa?
Come per ogni altra malattia, anche per il dolore cronico esistono terapie specifiche «Nella valutazione della terapia del dolore – dice l’esperto -, il paziente deve essere considerato nelle varie dimensioni della sua persona, tenendo conto dell’età, delle malattie associate, delle terapie in corso, della condizione psicologica e delle esperienze precedenti con i farmaci antalgici. In base a tutti questi fattori, il dolore cronico può essere curato con uno o più farmaci, indicati dalle linee guida internazionali, tutti con documentata efficacia negli studi clinici. Per esempio, nella terapia del dolore cronico possono essere usati farmaci come gli oppioidi, alcuni antidepressivi e anticonvulsivanti, ovvero farmaci ad applicazione topica (cerotti a base di anestetico locale o capsaicina) come nel dolore neuropatico localizzato. Nei casi più complessi, la terapia del dolore può prevedere trattamenti multimodali associati, ovvero combinazioni di farmaci, terapie fisiche, psicologiche e tecniche come la mindfulness o l’ipnosi – conclude il dott. Marco Lacerenza – fino a terapie invasive, ma solo quando quelle farmacologiche e complementari non sono più efficaci».
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