A tutti, almeno una volta nella vita, sarà capitato di provare dolore per motivi diversi e con intensità diversa. Il dolore è un campanello d’allarme, un sistema di difesa che ha il nostro organismo per avvisarci della presenza di una minaccia. Tuttavia, quando il dolore diventa cronico, perde questa sua importante funzione e si trasforma in una malattia vera e propria. La terapia antalgica, o terapia del dolore, è il trattamento che, in particolari casi, è necessario per risolvere il dolore.
Ne parliamo con il dottor Marco Lacerenza, neurologo esperto in terapia del dolore di Humanitas San Pio X.
Dolore: come si fa a capire quando c’è bisogno della terapia antalgica?
Spiegare al medico “quanto fa male”, cioè l’intensità del dolore che si prova, può non essere facile, dal momento che l’esperienza del dolore è soggettiva e unica, diversa da persona a persona. L’utilizzo di strumenti oggettivi scientificamente validati, come la scala di valutazione numerica del dolore da 0 a 10, ha permesso al medico e al paziente di comunicare e misurare l’intensità del dolore percepita. Tuttavia, per stabilire la terapia contro il dolore è necessario valutare anche altri parametri, meno soggettivi, come la durata del dolore e la relazione tra il dolore e una causa. E’ proprio la relazione stretta tra dolore, durata e causa che l’ha provocato a distinguere il dolore acuto da quello cronico.
Dolore acuto
Il dolore acuto è tutto quello che ognuno di noi ha provato almeno una volta nella vita a causa di un danno temporaneo e transitorio, come un trauma, una malattia acuta come una colica, una cefalea, un intervento chirurgico, uno stato infiammatorio. Il dolore che ne deriva si considera acuto fino a una durata di un mese, e viene trattato in modo diverso a seconda della causa: ad esempio, per il dolore da cefalea si useranno farmaci e posologie diverse dal dolore a seguito di un intervento chirurgico.
Dolore cronico
Molto diverso, invece, è il dolore cronico che ha perso la sua funzione di campanello d’allarme ed è diventato una vera e propria malattia. Si tratta di un dolore che dura da almeno tre mesi, spesso di tipo neuropatico, e che può continuare anche dopo la guarigione della malattia originaria, come per esempio, la nevralgia erpetica o fuoco di Sant’Antonio: l’eruzione cutanea dolorosa guarisce in circa un mese ma, specie nei grandi anziani, la persona può sviluppare dolore cronico anche molto intenso, che può durare nel tempo, ed è disconnesso dalla lesione cutanea, ormai guarita.
Nel dolore cronico, spesso, è presente un danno del sistema nervoso somatosensoriale centrale o periferico (dolore neuropatico) come per esempio nell’ictus, sclerosi multipla e traumi spinali, oppure radicolopatie, nevralgia post erpetica, traumi nervosi o neuropatia diabetica. Altre volte, il dolore cronico può essere in relazione a malattie degenerative come l’artrosi. Chi soffre di dolore cronico tende ad avere anche disturbi come ansia, depressione, attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress o a fare abuso di sostanze, spesso a causa del dolore.
Terapia del dolore: quali farmaci si usano?
Nella prima valutazione di un paziente con dolore cronico, come per ogni altra malattia cronica, è necessario considerare le caratteristiche della persona, quali età, malattie presenti, terapie in corso, condizione psicologica ed esperienze precedenti con i farmaci antalgici. Una volta raccolte tutte le informazioni e valutata la presenza e la causa sottostante al dolore cronico, il medico specialista in terapia del dolore utilizzerà uno o più farmaci, secondo le indicazioni delle linee guida internazionali in associazione a trattamenti riabilitativi e/o psicologici.
Per esempio, sulla base delle valutazioni mediche e del feedback del paziente, nella terapia antalgica del dolore cronico possono essere utilizzati oppioidi, alcuni antidepressivi e anticonvulsivanti, cerotti a base di anestetico locale o capsaicina come nel dolore neuropatico localizzato, oppure combinazioni di farmaci anche in associazione a terapie fisiche e psicologiche, insieme a tecniche come la mindfulness o l’ipnosi. Una volta provati in modo corretto i vari farmaci indicati dalla letteratura e trattate le patologie associate con fisioterapia e terapie psicologiche, in assenza di beneficio significativo, si può passare a trattamenti invasivi che varieranno in funzione della causa fisiopatologica sottostante.
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