Durante il primo trimestre di gravidanza le mamme possono sottoporsi al test NIPT (Non Invasive Prenatal Test) che consiste nell’analizzare il DNA del nascituro presente nel sangue della mamma al fine di rilevare possibili anomalie cromosomiche. Al riguardo sono molti i dubbi e le domande e poche le risposte veramente esaustive.
Per questo motivo ne abbiamo parlato con la nostra esperta, la dottoressa Marinella Dell’Avanzo, medico di Ostetricia e Ginecologia presso Humanitas San Pio X.
In che cosa consiste il test?
Il NIPT è un esame di screening che calcola il rischio delle seguenti anomalie cromosomiche nel nascituro:
- trisomia 21 (chiamata anche Sindrome di Down);
- trisomia 18;
- trisomia 13.
Il test evidenzia, inoltre, il sesso del nascituro e le eventuali malattie legate ai cromosomi sessuali come la sindrome di Turner o la sindrome di Klinefelter.
Quando e come si esegue?
Il periodo migliore in cui eseguirlo è durante l’undicesima settimana di gravidanza, o comunque dopo la decima. Prima di effettuare il NIPT ci si deve sottoporre a un’ecografia ostetrica per poi procedere con il prelievo di sangue materno nel quale è presente anche una porzione di DNA fetale.
Quanto è attendibile l’esame?
Questo test ha rivoluzionato il mondo della medicina in quanto ha un’attendibilità in percentuale che si aggira intorno al 99%.
Lo si può sostituire all’amniocentesi o alla villocentesi?
Purtroppo non è sovrapponibile a questi due test invasivi. Nel caso in cui dopo il NIPT il medico riscontrasse la presenza di un’anomalia genetica, si procederà alla convocazione della coppia e alla valutazione di un possibile test invasivo (amniocentesi o villocentesi).
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