La chirurgia ha un ruolo importante nella terapia del tumore ovarico, tanto da rappresentare un imprescindibile tassello nella cura per questo tipo di tumore, nella maggioranza dei casi.
Approfondiamo l’argomento con il Professor Fabio Martinelli, responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica Chirurgica di Humanitas San Pio X.
In cosa consiste l’intervento per tumore alle ovaie?
In caso di riscontro o di sospetto di tumore ovarico risulta fondamentale un’adeguata valutazione pre-operatoria al fine di pianificare al meglio la strategia terapeutica successiva.
In caso di masse annessiali sospette, senza apparenti sospetti di ulteriori sedi di malattia, l’approccio chirurgico può essere mini-invasivo (laparoscopico o robotico) in mani esperte. L’approccio chirurgico mini-invasivo (laparoscopico o robotico) prevede l’esecuzione di millimetriche incisioni sull’addome che permettono l’esplorazione della cavità addominale mediante una telecamera ad alta definizione e l’introduzione di strumenti miniaturizzati necessari per procedere all’intervento. Per permettere una adeguata visualizzazione degli organi pelvici (utero, tube, ovaie), l’addome viene “gonfiato” con un gas inerte (anidride carbonica – CO2) e la paziente viene posizionata sul lettino operatorio a testa in giù, cioè in posizione Trendelenburg.
La massa ovarica/tubarica sospetta non deve essere “rotta” durante la sua asportazione, ma deve essere mantenuta intatta allo scopo di permettere un’adeguata analisi anatomo-patologica al fine della corretta stadiazione di malattia. Pertanto, l’esperienza del chirurgo ginecologo in questi tipi di tumori ginecologici è fondamentale. L’estrazione della massa tumorale dall’addome avviene solitamente con ausilio di speciali “sacchetti” che permettono di togliere la massa tramite una delle incisioni addominali e/o per via vaginale senza contaminazione dei tessuti circostanti (estrazione contenuta).
La valutazione intraoperatoria della massa asportata da parte di un anatomo-patologo esperto in patologia ginecologica permette poi di modulare l’intervento in base ai riscontri, alla eventuale diffusione di malattia, all’età della paziente e a un eventuale desiderio di prole.
Quali altri interventi possono essere necessari?
Le ulteriori procedure che potrebbero rendersi necessarie contestualmente al riscontro di patologia oncologica o dopo una prima chirurgia possono prevedere l’asportazione dell’altro ovaio e dell’utero, l’asportazione dell’omento, un “grembiule” di grasso che ricopre l’intestino, le biopsie peritoneali, l’eventuale asportazione dei linfonodi che si trovano lungo il decorso dei vasi sanguigni quali aorta, vena cava, vasi iliaci. Tutte queste procedure, qualora necessarie, possono essere eseguite per via mini-invasiva; fondamentale è quindi l’esperienza chirurgica del ginecologo oncologo e la possibilità di avvalersi di team multidisciplinari intraoperatori.
In caso di masse annessiali di notevoli dimensioni o dell’evidenza pre o intra-operatoria di malattia diffusa, lo scopo della chirurgia è l’asportazione di tutta la malattia macroscopicamente evidenziabile. In tal caso l’intervento prevede un’incisione cutanea (taglio) longitudinale che si estende dal pube fino allo sterno. In assenza di controindicazioni, si procede poi con l’asportazione di tutta la malattia macroscopicamente rinvenibile (intervento “citoriduttivo”) che può prevedere una chirurgia molto estesa.
Le procedure che potrebbero rendersi necessarie, oltre all’asportazione di utero, tube ed ovaie, possono includere: la peritonectomia, cioè l’asportazione della aree di peritoneo con interessamento di malattia dalla pelvi fino al diaframma, l’omentectomia, la splenectomia, ovvero l’asportazione della milza, resezioni del diaframma e/o di fegato e/o dell’intestino, l’asportazione di linfonodi. Questo tipo di interventi può richiedere diverse ore, pertanto risultano fondamentali la stretta collaborazione con il team di sala operatoria, e l’esperienza specifica del ginecologo oncologo chirurgo.
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