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Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

 

È possibile che il trattamento terapeutico della fibrillazione atriale sia farmacologico, con l’assunzione di farmaci antiaritmici che devono essere assunti 2-3 volte al giorno. I farmaci attualmente disponibili sul mercato sono molto efficaci nella prevenzione delle recidive aritmiche ma non raggiungono il successo totale; pertanto è possibile che molti pazienti presentino ancora delle recidive aritmiche che possono spingerli a recarsi continuamente al pronto soccorso. L’utilizzo di farmaci antiaritmici può essere considerato opportuno in base anche alla presenza di co-morbidità e alla presenza degli inevitabili effetti collaterali dei farmaci che, in teoria, se efficaci dovrebbero essere assunti sine die.

Trattamento per aneurismi dell’aorta addominale

Trattamento per aneurismi dell’aorta addominale

 

Che cosa è un aneurisma?

Con il termine aneurisma si indica una dilatazione localizzata e permanente di un’arteria causata dal danno delle fibre elastiche e muscolari presenti nella parete. Privo così della sua abituale elasticità, il vaso si allarga progressivamente sotto la spinta della pressione del sangue. L’evoluzione naturale dell’aneurisma determina un progressivo aumento di calibro del tratto di arteria coinvolto fino all’inevitabile rottura del vaso. I fattori di rischio che contribuiscono alla formazione dell’aneurisma sono ipertensione, familiarità, alti livelli di colesterolo, diabete e fumo. L’aneurisma dell’aorta è una malattia molto diffusa: colpisce circa il 6% della popolazione di età superiore a 60 anni e interessa più frequentemente i maschi. Gli aneurismi più frequenti coinvolgono l’aorta addominale sottorenale, ma qualche volta si estendono alle arterie iliache, cioè ai due rami principali di divisione dell’aorta diretti agli arti inferiori.

 

Con quali sintomi si manifesta un aneurisma?

L’aneurisma dell’aorta addominale è quasi sempre totalmente asintomatico, ossia non dà segno della sua presenza. Molto spesso, infatti, viene riscontrato nel corso di esami o visite eseguiti per altre ragioni. Alcune volte si può manifestare con un dolore al dorso ed alla regione lombare, causato dalla compressione esercitata dall’aneurisma sui corpi vertebrali e sulle radici nervose.

I sintomi della rottura dell’aneurisma, invece, sono molto diversi: dolori addominali o dorsali con anemia e calo importante dei valori di pressione arteriosa dovute all’emorragia. In caso di comparsa di questi gravi disturbi si deve procedere al ricovero in ospedale immediato per il trattamento.

 

Quali esami sono utili per la diagnosi?

Nella maggior parte dei casi, la palpazione dell’addome da parte del medico permette l’individuazione della presenza dell’aneurisma dell’aorta addominale, soprattutto nei soggetti magri o in presenza di aneurismi di ampio diametro.

L’ecografia addominale o l’ecocolordoppler permettono di valutare precisamente la sede dell’aneurisma, il suo diametro e l’eventuale interessamento delle arterie iliache. Esami come la tomografia assiale computerizzata (TAC) e l’angio-risonanza magnetica (angio-RNM) possono fornire dettagli ancora più precisi.

I soggetti in cui sono presenti fattori di rischio (ipertensione, familiarità, fumo, valori elevati di colesterolo, storia personale di malattia di cuore o delle arterie degli arti inferiori e delle carotidi, diabete, malattie croniche polmonari) dovrebbero effettuare periodicamente un esame ecografico o ecocolordoppler con studio dei diametri dell’aorta. Sarà il medico specialista ad indicare eventualmente la necessità e il tipo di esami per approfondimento.

 

Perché è importante la diagnosi precoce?

La diagnosi precoce della presenza di un aneurisma dell’aorta addominale, anche di piccole dimensioni, permette di controllare nel tempo l’evoluzione della dilatazione stessa e di effettuare il trattamento dell’aneurisma prima di arrivare alla rottura. Bisogna considerare, infatti, che il trattamento di questa malattia è attualmente da valutare come sicuro e con un margine di rischio contenuto quando viene effettuato in “elezione”, mentre le complicanze e la mortalità sono molto elevate se l’intervento è eseguito dopo la rottura.

 

Quali trattamenti sono possibili?

L’esecuzione dell’intervento chirurgico classico di aneurismectomia avviene secondo tecniche ormai collaudate da decenni e con materiali che sono notevolmente migliorati negli anni. Si sostituisce il tratto di aorta dilatato con una protesi, ossia un tubo di materiale sintetico, che viene ancorato con una sutura alla parete arteriosa sana. Questo tubo può essere retto o biforcato a seconda che venga coinvolta solo l’aorta addominale o anche le arterie iliache. Il flusso di sangue viene temporaneamente bloccato da pinze che vengono poi rimosse quando la protesi è stata ben posizionata.

Negli ultimi anni si è introdotta la possibilità di introdurre una protesi nel tratto di aorta dilatata, con un catetere che viene fatto risalire dall’arteria femorale (all’inguine): questa protesi è contenuta in una guaina che, sotto controllo radiologico, viene aperta solo quando è correttamente posizionata in corrispondenza dell’aneurisma. Il grande vantaggio di questa tecnica “endovascolare” è quello di non richiedere un’ampia incisione dell’addome (come invece avviene in caso di intervento chirurgico tradizionale): si può quindi effettuare in anestesia locale o spinale e prevede un tempo di permanenza in ospedale ridotto.

Rappresenta dunque una metodica utile per il trattamento degli aneurismi dell’aorta addominale anche in pazienti che potrebbero essere esposti ad un alto rischio con l’intervento chirurgico, a causa di una contemporanea presenza di malattie di cuore o polmoni. Tuttavia, al momento non sono disponibili dati certi sui risultati a lungo termine del trattamento endovascolare ed inoltre a volte la sua applicazione è resa impossibile dalle caratteristiche morfologiche (la forma e l’estensione della dilatazione aortica stessa).

Si può effettuare una scelta tra le due diverse modalità di trattamento solo dopo aver valutato attentamente i dati che riguardano le condizioni generali, con particolare riferimento a malattie di cuore, polmoni e reni, e le dimensioni e morfologia della dilatazione aneurismatica.

Trattamento per la displasia aritmogena del ventricolo destro

Trattamento per la displasia aritmogena del ventricolo destro

 

La terapia della ARVD/C (displasia o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) è deputata innanzitutto alla protezione dal rischio aritmico, iniziando con la modifica dello stile di vita, escludendo una attività fisica strenua, e con la terapia farmacologica: in quest’ultima sono inclusi betabloccanti, l’amiodarone e alcuni farmaci antiaritmici bloccanti di classe IC. Per questi pazienti è necessario valutare attentamente l’indicazione all’impianto di un ICD.

Trattamento per la sindrome del QT lungo

Trattamento per la sindrome del QT lungo

 

La terapia per alcune forme di LQTS è con farmaci betabloccanti o con farmaci a base di potassio.

Quando la terapia farmacologica non è sufficiente o indicata, viene consigliato l’impianto del defibrillatore, dispositivo che ha in compito di erogare shock per interrompere aritmie fatali.

Trattamento per la sindrome di Brugada

Trattamento per la sindrome di Brugada

 

Se il test per aritmie ventricolari pericolose risulta positivo, e se viene riscontrato un rischio elevato, ai pazienti colpiti da sindrome di Brugada viene suggerito il posizionamento di un defibrillatore impiantabile (ICD) che finora risulta essere la terapia con la maggior protezione contro eventi improvvisi.

Il posizionamento di un defibrillatore impiantabile viene indicato a pazienti sintomatici in cui si manifesta un pattern di tipo 1, sia spontaneo che in seguito a somministrazione di farmaci bloccanti i canali del sodio, pazienti che presentano sintomi come sincope, respiro agonico notturno, lipotimie (una volta escluse tutte le cause non cardiache, oppure ai pazienti risultati candidabili allo studio elettrofisiologico).

Anastomosi delle tube (o salpingi)

Anastomosi delle tube (o salpingi)

 

Il primo intervento chirurgico con il robot è stato eseguito sulle salpingi, ambito chirurgico fra i più complessi, riguardante le pareti delle tube uterine.

L’indicazione di procedere con la chirurgia robotica per la riapertura delle salpingi dopo legatura delle stesse per sterilizzazione volontaria, sta proprio nella qualità delle suture, che possono essere eseguite con facilità grazie agli strumenti robotici. Infatti, l’anastomosi delle salpingi prevede una serie di punti con fili riassorbibili estremamente sottili, usati per ricostruire lo strato muscolare e la sierosa delle salpingi.

L’estrema precisione dell’operazione microchirurgica riporta in letteratura in prima esperienza, un successo in termini di gravidanze del 50% (in assenza di gravidanze ectopiche). Se esistono gli estremi per eseguire un tentativo di anastomosi tubarica, la tecnica robotica rimane la prima scelta per le qualità espresse dal robot in questo genere di intervento.

Chirurgia del prolasso genitale

Chirurgia del prolasso genitale

 

Lo standard di cura del prolasso genitale è il trattamento chirurgico per via vaginale.  L’intervento per via addominale per la cura della recidiva del prolasso genitale si effettua quando la prima chirurgia ha rimosso il viscere uterino,e consiste nel posizionamento di una rete (promontosacropessia). Negli anni ‘90 si è diffusa la procedura per via laparoscopica che incrementa i tempi operatori ma ha i vantaggi della chirurgia mini-invasiva. Evitare la laparotomia in pazienti nelle quali viene posizionata una rete permanente riduce significativamente l’incidenza di infezioni peritoneali ed elimina il rischio del laparocele (ernia dell’addome dovuta al taglio). La promontosacropessia prevede l’ancoraggio di una rete alla vagina (parete posteriore, cupola vaginale e parete anteriore) ed il successivo fissaggio al promontorio sacrale.

I giorni di degenza sono ridotti (tre in media) e l’intervento con il robot permette una ridotta invasività anestesica per la paziente.

Chirurgia robotica ginecologica

Chirurgia robotica ginecologica

 

La chirurgia robotica rappresenta la nuova frontiera della chirurgia mini-invasiva. Il robot Da Vinci, uno dei robot chirurgici più diffusi al mondo, conferisce al gesto chirurgico una precisione non ottenibile con altre tecniche; si possono superare i limiti legati alla difficoltà di trattare con la laparoscopia patologie in sedi anatomiche difficili da raggiungere estendendo ad interventi complessi – con la stessa qualità ed efficacia della chirurgia tradizionale – i benefici della mini-invasività: nessuna cicatrice estesa sull’addome, ridotto tempo operatorio, minor anestesia e ripresa più rapida.

L’evoluzione della chirurgia laparoscopica è un robot che, oltre ad offrire i vantaggi della chirurgia mini-invasiva, è supportato da una strumentazione che permette di superare i limiti degli strumenti offerti dalla chirurgia laparoscopica stessa. Il robot utilizzato in Humanitas è tra le versioni più evolute, con quattro bracci e visione tridimensionale ad alta definizione.

L’intervento con il robot evita il taglio sull’addome anche per interventi ginecologici oncologici.

 

La chirurgia robotica può essere applicata nei seguenti casi:

-Anastomosi (chirurgia delle tube o salpingi)

-Miomectomia

-Interventi per tumori all’utero

-Promontosacropessia

-Endometriosi

 

Caratteristiche e vantaggi della chirurgia robotica

 

Il robot da Vinci è un sistema integrato costituito da due parti:

-Console chirurgica: la console chirurgica è il centro di controllo del robot in sala operatoria. Il chirurgo è seduto alla console e, attraverso dei manipoli che compiono movimenti a 360 gradi, comanda gli strumenti chirurgici. Attraverso il visore il chirurgo vede, in visione tridimensionale, tutto ciò che la telecamera inquadra.

-Carrello chirurgico: è  il vero e proprio robot ed è localizzato al tavolo operatorio.

 

I bracci del robot montano gli strumenti chirurgici e al tavolo operatorio sono presenti gli assistenti che coadiuvano le fasi dell’intervento.

 

Aspetti tecnico-operativi

 

Gli strumenti robotici vengono introdotti nell’addome attraverso cannule da 8 mm (trocars), fissati tramite sicure ai bracci del carrello chirurgico. Gli strumenti, in continua evoluzione, sono estremamente versatili nei loro movimenti: la loro articolazione permette sette movimenti sul proprio asse, con angolature di 90° che, in casi particolari, agevolano il raggiungimento di spazi anatomici ristretti e profondi.

 

Vantaggi generali della chirurgia robotica

 

Tutti gli interventi che possono essere eseguiti con la tecnica laparoscopica possono essere eseguiti con l’ausilio del robot, evitando così il taglio sull’addome e rispettando l’integrità corporea della donna. Con la chirurgia robotica si sono ridotti i tempi operatori (ridotta anestesia e minore stress fisico per la paziente).

L’utilizzo del robot risulta particolarmente vantaggioso nella chirurgia pelvica, quindi in ginecologia (endometriosi setto retto-vaginale, intestinale) e nella chirurgia di pazienti obese, dove l’ingombro intestinale restringe il campo di azione.

La visione tridimensionale del robot aiuta il chirurgo a visualizzare meglio nervi, vasi ed alcune strutture legamentose.

Embolizzazione dei fibromi uterini

Embolizzazione dei fibromi uterini

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini è un’alternativa mini-invasiva alla chirurgia per l’eliminazione dei fibromi uterini che consiste nell’occludere in modo selettivo i vasi sanguigni che apportano nutrimento ai fibromi.

 

Che cos’è l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini viene effettuata tramite l’impiego di materiali embolizzanti che sono introdotti mediante catetere. La procedura è eseguita generalmente in anestesia locale e il catetere è inserito sotto controllo radiologico.

 

Come si svolge l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

L’intervento si svolge in sala angiografica in condizioni di sterilità. Dopo aver somministrato alla paziente un’anestesia locale, viene incannulata l’arteria femorale e successivamente l’arteria uterina. Una volta posto il catetere nell’arteria uterina è possibile procedere con l’embolizzazione selettiva per far sì che la sostanza embolizzante utilizzata vada ad occludere l’area vascolare peritumorale. Dopo essersi assicurato della riuscita della devascolarizzazione il medico sfila il catetere e appone una medicazione compressiva sul punto d’ingresso del catetere nella cute. In caso di grossi fibromi è utile l’anestesia epidurale. L’intervento dura in media un’ora.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

Il principale vantaggio di questo trattamento consiste nella marcata riduzione dimensionale dei fibromi uterini senza dover ricorrere all’intervento chirurgico.

Il principale svantaggio di questo trattamento è l’amenorrea (in alcuni casi transitoria, in altri permanente) che si registra in una piccolissima percentuale di pazienti in seguito a questo tipo di trattamento.

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini è dolorosa o pericolosa?

 

Essendo una procedura che prevede l’inserimento di un catetere l’embolizzazione dei fibromi uterini può provocare fastidi e dolore addominale.  È considerata, comunque, una procedura mininvasiva rispetto alla chirurgia classica cosiddetta “a cielo aperto” (prima dell’avvento dell’embolizzazione dei fibromi uterini era l’unica possibilità di rimozione dei fibromi stessi).

 

Quali pazienti posso effettuare l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

Non tutte le donne con fibromi uterini possono sottoporsi alla tecnica di embolizzazione dei fibromi.

Sussistono controindicazioni nel caso di:

-presenza di fibromi uterini non sintomatici;

-menometrorragie (abbondante sanguinamento uterino che si verifica sia durante le mestruazioni che nei periodi intermestruali) legate a patologie maligne;

-donne in trattamento ormonale con progestinici;

-donne con controindicazioni al cateterismo;

-donne in gravidanza;

 

particolare attenzione deve essere prestata alle pazienti con ipersensibilità o allergia ai mezzi di contrasto utilizzati per monitorare l’inserimento del catetere (che avviene sotto guida radiologica).

 

Possono invece sottoporsi a questo trattamento le donne con fibromi sintomatici che non siano peduncolati, con persistente sintomatologia emorragica o una sintomatologia che ne minacci l’integrità fisica (gravi emorragie), con presenza di un rischio anestesiologico e operatorio elevato controindicante l’approccio chirurgico classico.

 

Follow-up

 

Dopo l’embolizzazione è molto probabile la comparsa di dolore pelvico che richiede un trattamento antidolorifico appropriato. Quando i fibromi hanno un diametro di 10-12 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3a – 5a giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a sintomi come reazione peritoneale, nausea e febbre che può persistere per qualche giorno. Generalmente, se i fibromi sono di diametro inferiore agli 8 cm la dimissione avviene il giorno successivo all’intervento.  La paziente sarà controllata ogni due mesi (poi a sei mesi, a 12 mesi e infine una volta all’anno) dopo aver eseguito un eco-color-doppler per monitorare la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale; un emocromo per monitorare l’anemia e i tassi di creatina fosfocinasi (CPK) verifica la riduzione volumetrica del fibroma.

 

Ci sono norme di preparazione all’intervento?

 

Prima di sottoporsi a questo esame la paziente dovrà essere a digiuno di cibi solidi da almeno 8 ore, ma è consentito bere piccole quantità di liquidi (acqua non gassata o tè). La paziente si recherà in sala radiologica con un accesso venoso periferico.

Laparoscopia dell’ovaio

Laparoscopia dell’ovaio

 

Il trattamento per tumore dell’ovaio in età giovanile o in età fertile (tumore ovarico “borderline”) può essere affrontato per via laparoscopica asportando non solo la malattia dall’ovaio (cisti ovarica complessa) ma anche i tessuti dove più frequentemente si possono formare metastasi (appendice, omento peritoneo).

L’approccio laparoscopico per questo tumore è dimostrato essere sicuro e nella maggior parte dei casi il taglio sull’addome è superfluo.

 

L’intervento prevede la conservazione dell’ovaio e dell’utero.

Laparoscopia ginecologica

Laparoscopia ginecologica

E’ una tecnica chirurgica che non prevede l’incisione estesa della parete addominale, ma piccole incisioni pari a circa 5 millimetri. Attraverso le incisioni vengono introdotti gli strumenti laparoscopici, identici a quelli usati per la chirurgia tradizionale, ma miniaturizzati. Diventa quindi possibile incidere, coagulare, posizionare clips emostatiche e altro.

La tecnologia si è evoluta a tal punto da consentire di eseguire l’esecuzione di interventi complessi quali la resezione del retto per endometriosi, l’asportazione di uteri anche con voluminosi fibromi, cisti ovariche di qualsiasi natura o quelli oncologici dove risulta saltuariamente necessario rimuovere anche i linfonodi pelvici e lombo-aortici.

La chirurgia laparoscopica è indicata per:

-patologia delle ovaie e salpingi

-endometriosi

-patologia dell’utero

-prolasso genitale e incontinenza urinaria

-isteroscopia

 

Miomectomia (Asportazione di fibromi uterini)

Miomectomia (Asportazione di fibromi uterini)

 

La rimozione dei fibromi uterini per via laparoscopica ha trovato il massimo sviluppo negli anni novanta. Anche se ancora molto diffusa la miomectomia per via laparotomica. Alla base della scelta chirurgica di eseguire ancora oggi la miomectomia laparotomica ci sono l’esperienza del chirurgo ginecologo e la qualità della sutura, ma è dimostrato che la sutura laparoscopica ha le stesse caratteristiche di quella eseguita con laparotomia. La sutura con il robot inoltre riduce il tempo totale dell’intervento e il sanguinamento del muscolo uterino.

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

La chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri è una tecnica chirurgica sicura ed efficace grazie alla quale si possono correggere i difetti di vista (miopia, astigmatismo, ipermetropia) applicando il trattamento sulla superficie corneale. La capacità del laser di rimuovere parti microscopiche con estrema precisione viene sfruttata per “rimodellare” la curvatura corneale, così facendo è possibile eliminare o ridurre difetti comuni della vista come miopia, ipermetropia e astigmatismo eliminando la necessità di indossare a vita occhiali e lenti a contatto.

Il laser ad eccimeri può correggere i difetti visivi mediante la vaporizzazione a freddo del tessuto corneale in modo mirato.  Questo può avvenire in superficie con vari metodi: PRK, LASEK, epiLASIK e ASA che si differenziano l’una dall’altra solo per la preparazione preliminare all’azione del laser, o in profondità dopo avere tagliato e sollevato uno strato superficiale di cornea. L’applicazione del laser a eccimeri che segue è identica per i due trattamenti.

Il fronte avanzato di questa chirurgia sono i trattamenti customizzati, cioè un rimodellamento della cornea mediante laser ad eccimeri che tiene conto delle caratteristiche individuali e spesso consente una visione migliore rispetto ai trattamenti standardizzati.

Che cos’è la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 Il laser a eccimeri permette di rimuovere parti microscopiche del tessuto della cornea modificando la forma della zona più importante per la messa a fuoco (zona ottica) e migliorando anche il profilo della cornea periferica circostante. Grazie all’energia creata dal laser si produce una “evaporazione” del tessuto bersaglio senza danneggiare i tessuti circostanti. Il tessuto viene asportato con una precisione straordinaria, impossibile per la mano umana, nell’ordine del micron (millesimo di millimetro) per ogni colpo emesso e con una riproducibilità non raggiungibile a tutt’oggi da nessun altro mezzo.

Come funziona la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 Il giorno dell’intervento il medico specializzato eseguirà un controllo del vostro stato di salute ed eseguirà un ulteriore controllo di sicurezza dei dati della vostra cartella clinica.  Questi controlli fanno parte della filosofia di Humanitas che tutela la vostra sicurezza verificando più volte, mediante “check list” dedicate, i vostri dati clinici. Una volta finiti gli accertamenti il nostro personale infermieristico dedicato si prenderà cura di somministravi le terapie indicate dal vostro chirurgo e di fare la preparazione all’intervento.

I pazienti possono mangiare e bere normalmente prima del trattamento.

È importante essere  struccate e non profumate (i vapori di alcool infatti possono interferire con il raggio laser) ed evitare profumi e dopobarba alcolici.

È senz’altro consigliabile presentarsi con un accompagnatore tenendo in considerazione che dopo il trattamento non è consigliabile la guida; la lacrimazione unita all’insofferenza alla luce la renderebbe pericolosa.

È inoltre importante riportare tutti gli esami preliminari eseguiti in precedenza.

Normalmente l’intervento viene eseguito per entrambi gli occhi nella stessa seduta operatoria.  In casi particolari il chirurgo può decidere di eseguire gli interventi separatamente in due sedute diverse.

Tutte le tecniche vengono abitualmente eseguite in ambulatorio, con anestesia topica (gocce).

È importante sospendere l’utilizzo delle lenti a contatto per almeno 7 giorni prima della visita per riportare le caratteristiche oculari nel modo più inalterato possibile.

Prima dell’intervento è preferibile sospendere le lenti a contatto per almeno 4 giorni.

Quali sono i vantaggi della chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 Dopo oltre 20 anni di esperienza l’incidenza di complicanze legate all’intervento è estremamente bassa. La chirurgia refrattiva è un trattamento estremamente preciso e oggi può essere considerata una tecnica efficace e sicura, perché l’intervento elimina o riduce marcatamente i difetti di vista nella maggior parte dei pazienti.

Questi risultati si ottengono se gli interventi sono eseguiti da chirurghi ben preparati ed in centri altamente specializzati. È fondamentale che l’equipe sia formata da professionisti esperti che eseguano un’approfondita valutazione e selezione del paziente e sappiano escludere i pazienti non idonei all’intervento, selezionando solo i casi in qui si può attendere un buon risultato.

Va rilevato che ogni atto di chirurgia refrattiva quale che sia la tecnica adoperata, si rivolge alla risoluzione dei soli difetti di refrazione ma non modifica quelle patologie che possono essere associate al difetto di vista. Ad esempio un miope con alterazioni retiniche che compromettono parte della sua funzionalità visiva non può sperare di vedere risolto questo problema da un intervento chirurgico a scopo refrattivo né l’intervento può costituire un trattamento preventivo per eventuali, possibili, successive complicanze retiniche.

 

Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina

Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina

 

L’Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina è un trattamento delle patologie retiniche mediante iniezione intraoculare di farmaco.

Da alcuni anni è entrata nella pratica clinica dell’oculista la terapia di patologie retiniche mediante iniezione del farmaco direttamente all’interno dell’occhio. Questo nuovo approccio terapeutico ha permesso di migliorare la prognosi di diverse patologie retiniche riducendo la percentuale di peggioramenti visivi.

 

Che cos’è l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

I farmaci attualmente approvati ed utilizzati per uso intraoculare sono farmaci anti-VEGF (inibitori della formazione di nuovi vasi sanguigni) e cortisonici. I primi (anti-VEGF) sono utilizzati nel trattamento della degenerazione maculare senile essudativa, nell’edema maculare diabetico e nell’edema maculare secondario a trombosi dei vasi retinici.

I secondi (cortisonici) sono approvati ed utilizzati per il trattamento dell’edema maculare secondario ad una trombosi dei vasi retinici e per patologie infiammatorie dell’occhio (ad esempio l’uveite).

 

Come funziona l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

L’iniezione viene eseguita in ambiente controllato (sala operatoria) in condizioni di sterilità e in regime ambulatoriale. Il paziente quindi, una vola eseguita l’iniezione, può tornare a casa accompagnato dai familiari. L’iniezione è eseguita con anestesia topica, cioè mediante istillazione di colliri anestetici. La terapia post iniezione è a base di colliri. Il primo controllo è eseguito in ambulatorio il giorno successivo. A distanza di circa 2-3 settimane, e in base ai casi, sarà eseguito il controllo successivo.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’iniezione intravitreale di farmaco?

 

Il trattamento con farmaci intraoculari ha dimostrato una buona efficacia nel trattamento di diverse patologie retiniche come la degenerazione maculare senile essudativa, un edema maculare secondario a retinopatia diabetica e a trombosi venosa.  Gli effetti indesiderati riportati di tali trattamenti sono rari e tra questi ricordiamo: aumento della pressione intraoculare, mal di testa, vitreite (infiammazione dell’occhio), distacco di vitreo, emorragia retinica (sanguinamento della parte posteriore dell’occhio), disturbi visivi, dolore oculare, mosche volanti (macchie nel campo visivo), emorragia congiuntivale (sanguinamento nella porzione anteriore dell’occhio), irritazione oculare, sensazione di avere un corpo estraneo nell’occhio, aumento della lacrimazione, blefarite (infiammazione delle palpebre), secchezza oculare, iperemia oculare (arrossamento), prurito oculare, artralgia (dolore articolare) e naso faringite (infiammazione del naso e della gola) etc. Raramente possono osservarsi più’ gravi complicanze quali: endoftalmite (infezione del globo oculare), infiammazione oculare grave, lesione alla retina e cataratta. La complicanza sistemica più’ temibile e’ la tromboembolia.

 

L’iniezione intravitreale di farmaco è dolorosa?

 

La durata dell’iniezione è circa un minuto, la sensazione avvertita dal paziente è minima e della durata di pochi secondi.

 

Quali pazienti possono effettuare l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

Non esistono controindicazioni assolute alle iniezioni intravitreali per patologie sistemiche.

Esistono diversi profili di rischio soprattutto per pazienti cardiopatici e vasculopatici o per allergie accertare ai farmaci contenuti all’interno di questi medicamenti.

 

Sono previste norme di preparazione al trattamento?

 

L’intervento è effettuato in posizione supina, in un ambiente chirurgico sterile (sala operatoria), con l’ausilio da parte dell’operatore del microscopio. L’atto chirurgico si articola in diverse fasi:

 

-disinfezione della cute perioculare e del sacco congiuntivale

-iniezione intravitreale a 3.5/4.0 mm dal limbus per via transcongiuntivale

-controllo intraoperatorio del tono oculare ed eventuale paracentesi evacuativa dalla camera anteriore

 

 

Dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico verranno fornite dal medico le indicazioni a cui attenersi adatte al caso di ogni singolo paziente.

 

Follow up

 

I controlli successivi alle iniezioni intravitreali sono cardine della terapia stessa. Devono essere effettuati nei tempi e nei modi suggeriti dall’oculista per garantire la giusta efficacia terapeutica.

 

Trapianti di cornea

Trapianti di cornea

 

Quando la cornea perde in maniera irreversibile la sua trasparenza o diventa fortemente irregolare o ancora rischia di perforarsi e le terapie meno invasive non risolvono il problema, è necessario sostituirla mediante l’intervento chirurgico di trapianto di cornea, detto anche cheratoplastica.

 

Cosa sono i trapianti di cornea?

 

L’intervento consiste nella sostituzione della cornea malata o di una sua parte con quella proveniente da un donatore. Diversamente dal passato recente, quando l’unico intervento disponibile consisteva sempre nella sostituzione del tessuto a tutto spessore, oggi possiamo decidere di sostituire soltanto la parte di tessuto malato, lasciando intatti i rimanenti strati della cornea. Ciò ha permesso di ridurre l’aggressività chirurgica, i rischi di rigetto ed accelerare il recupero funzionale. A seconda dello strato corneale compromesso (stroma, endotelio) possiamo pianificare un trapianto selettivo del tessuto patologico, lamellare anteriore profondo (DALK – Deep Anterior Lamellar Keratoplasty), in cui viene sostituita la sola porzione anteriore della cornea senza perforare il bulbo oculare oppure un trapianto di solo endotelio corneale (DSAEK – Descemet Stripping Automated Endothelial Keratoplasty) lasciando intatta la porzione più superficiale sana.

 

Il trapianto di cornea a tutto spessore (PK o cheratoplastica perforante) viene tuttora riservato a tutti i casi in cui la compromissione corneale è intervenuta a tutti i livelli o ha determinato danni tissutali che non rendono praticabili le altre due tecniche descritte. In casi estremi può avere come unico scopo quello di evitare una perforazione imminente o porvi rimedio in urgenza al fine di eliminare le soluzioni di continuità tra le strutture oculari interne ed il mondo esterno (trapianto a scopo tettonico).

 

La scelta della tecnica indicata spetta al medico oculista dopo una valutazione complessiva del quadro clinico. Le cornee donate vengono prelevate da cadavere, accuratamente selezionate, conservate in terreno di coltura ed inviate all’ospedale che ne faccia richiesta da parte delle BANCHE DELLE CORNEE, che certificano la qualità del tessuto inviato. Ciò consente di pianificare con anticipo gli interventi e garantire una elevata qualità dei tessuti da trapiantare.

Il trapianto di cornea ha lo scopo prioritario di ripristinare la anatomia corneale e si pone come obbiettivo quello di migliorare la funzione visiva alterata dalla ridotta trasparenza e/o regolarità del tessuto.
Come funzionano i trapianti di cornea?

 

L’intervento è programmabile con discreto anticipo anche se la pianificazione dipende dalla disponibilità di tessuti da parte delle banche delle cornee. L’intervento viene effettuato in anestesia locale o generale, su indicazione del chirurgo e degli anestesisti, con ricovero. Il paziente viene sottoposto a verifica dell’assenza di controindicazioni nell’imminenza dell’intervento. Una volta effettuato l’intervento pianificato, in assenza di complicanze, è prevista una degenza variabile da uno a tre giorni, il cui scopo è quello di verificare in ambiente protetto ed in condizioni di sicurezza il decorso post-operatorio.

 

Quali sono i vantaggi dei trapianti di cornea?

 

Per quanto standardizzata e seguita da soddisfacenti risultati, l’operazione di trapianto di cornea non sfugge alla regola generale secondo la quale non esiste una chirurgia senza rischi. Non è dunque possibile garantire in modo formale il successo dell’intervento né l’assenza di complicanze, la cui incidenza è condizionata anche dal tipo e dal grado di evoluzione della patologia. L’indicazione a trapianto di cornea per queste ragioni deve venire posta in assenza di terapia mediche o chirurgiche meno invasive altrettanto efficaci.

 

I trapianti di cornea sono dolorosi o pericolosi?

 

L’intervento non è doloroso e viene per lo più eseguito in anestesia generale. In seguito all’intervento l’occhio operato è più o meno arrossato e dolente si possono avvertire sensazioni di corpo estraneo, bruciore, fastidio, lacrimazione, fluttuazioni visive, aloni, che tendono poi a ridursi progressivamente. Trattandosi di un intervento chirurgico, sono possibili complicanze prima, durante e dopo l’intervento. Esiste un elevato rischio di infezione, che solo una accuratissima attenzione all’igiene personale e oculare può ridurre drasticamente o eliminare.

 

Il trapianto di cornea comporta un rischio di rigetto per tutta la vita. Tale fenomeno, la cui frequenza si riduce sensibilmente dopo i primi 5 anni può comportare una grave e irreversibile infiammazione della superficie oculare e in assenza di una terapia tempestiva o per la gravità della sua manifestazione, il ricorso a nuovo trapianto di cornea.

 

Quali pazienti possono effettuare i trapianti di cornea?

 

Possono sottoporsi a trapianto di cornea pazienti di tutte le età, affetti da patologie corneali che non consentano opportunità terapeutiche meno invasive di pari efficacia e che abbiano ottenuto il consenso anestesiologico alla chirurgia.

 

Follow up

 

Controlli postoperatori, inizialmente più frequenti, sono necessari per un periodo di tempo prolungato. Se i controlli non vengono effettuati secondo le prescrizioni il risultato dell’intervento può essere compromesso. Dopo l’intervento è spesso presente un astigmatismo residuo, al fine di ridurre il quale abbiamo messo a punto una nuova metodica di tensionamento della sutura sotto guida topografica intraoperatoria che riduce di molto l’astigmatismo post-operatorio fin dai primi giorni dopo l’intervento.

 

A circa 18 mesi dall’intervento si procede alla rimozione della sutura, in seguito alla quale il riassestamento della cornea può causare la comparsa di difetti visivi quali astigmatismo, miopia o ipermetropia non prevedibili.

Il miglioramento visivo non è immediato., ma vviene lentamente nell’arco di diverse settimane ed è legato all’attecchimento ed alla vitalità della cornea trapiantata, alla sua trasparenza, alla presenza di astigmatismo residuo e dalle condizioni di salute degli altri distretti (retina, cristallino ecc.) dell’occhio operato. La presenza di altre lesioni dell’occhio, infatti, può limitare il recupero della vista.

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

In preparazione all’intervento è necessario verificare la assenza di concomitanti patologie e/o infezioni oculari e in altri distretti corporei che elevino il rischio chirurgico. Il paziente deve presentarsi la mattina dell’intervento a digiuno.

Trattamento cataratta

Trattamento cataratta

 

L’unico trattamento attualmente disponibile per la cura della cataratta è l’intervento chirurgico con microscopio operatorio.

 

Che cos’è?

 

L’intervento consiste nell’asportazione della parte di cristallino diventata opaca e nell’impianto di una lente sostitutiva in materiale plastico (cristallino artificiale o IOL, Intra Ocular Lens). Nella maggior parte dei casi non sono necessari punti di sutura.

 

E’ possibile utilizzare anche lenti con caratteristiche particolari:

 

multifocali, ossia capaci di mettere a fuoco a due distanze, una da lontano e una da vicino

toriche, che consentono di correggere l’astigmatismo, difetto visivo congenito per cui gli oggetti appaiono distorti e sfuocati, sia da lontano sia da vicino

asferiche, la cui forma più curva nel centro e piatta ai bordi, compensando i naturali difetti della cornea, permette una visione migliore in qualsiasi situazione migliorando la sensibilità al contrasto

filtrate, che grazie a speciali pigmenti assorbono e filtrano i raggi dannosi per la retina, tra i quali quelli solari ultravioletti.

 

L’intervento richiede un’anestesia locale con apposito collirio e viene effettuato in sale operatorie appositamente attrezzate per la day surgery.

 

 

Quali pazienti possono effettuare il trattamento della cataratta?

 

La maggior parte degli oculisti consiglia l’intervento chirurgico quando la cataratta inizia a compromettere la qualità della vita o a interferire con le normali attività quotidiane, come leggere o guidare di notte.

 

Il trattamento della cataratta è doloroso o pericoloso?

 

Oggi l’intervento di cataratta non è pericoloso, è indolore, è sufficiente  l’anestesia locale con gocce ed è di breve durata.

E’ effettuato sotto microscopio operatorio e richiede una sufficiente collaborazione del paziente. E’ sempre consigliabile non rinviare eccessivamente il momento dell’intervento per evitare che la cataratta assuma una consistenza troppo elevata.

 

 

Sono previste norme di preparazione al trattamento?

 

Il paziente deve sospendere l’assunzione di farmaci controindicati e instillare regolarmente i colliri prescritti.

E’ necessario presentarsi con il viso perfettamente lavato, senza trucco, accompagnati. E’ richiesta la presenza domiciliare di una persona valida e responsabile almeno per la prima notte.

 

Follow up

 

L’occhio operato deve restare coperto per un giorno. Dopo alcuni giorni si ha già un recupero visivo soddisfacente che dopo 10-15 giorni può definirsi completo e permette eventuali correzioni dei difetti visivi residui.

In taluni casi, a distanza di mesi o anni, è possibile l’opacizzazione della capsula in cui è inserito il cristallino artificiale (la cataratta secondaria): un veloce trattamento ambulatoriale con uno specifico laser (YAG laser) risolve il problema definitivamente.

 

Vitrectomia

Vitrectomia

 

La vitrectomia è l’intervento chirurgico che permette di trattare il distacco della retina rimuovendo il corpo vitreo, ovvero il gel trasparente localizzato tra l’iride e la retina.

 

Cos’è la vitrectomia?

 

La vitrectomia è uno degli interventi chirurgici che permettono di trattare il distacco della retina quando coinvolge un’area significativa della retina stessa. Il chirurgo procede alla sostituzione del corpo vitreo, il quale viene aspirato con strumenti adatti alla microchirurgia e sostituito con una soluzione salina. Al termine del trattamento, della durata di due o tre ore, entrambi gli occhi vengono bendati.

 

Immediatamente prima dell’intervento le pupille devono essere dilatate.

La vitrectomia permette di recuperare la vista in due casi su tre, ma l’intervento è associato al rischio di complicazioni come sanguinamento, cataratta e endoftalmite.

 

La fase post-operatoria può essere accompagnata da un dolore che può essere controllato con farmaci analgesici.

 

Quali pazienti possono effettuare la vitrectomia?

 

La vitrectomia è indicata nei pazienti affetti da retinopatia diabetica, foro maculare, membrana epiretinica e infezioni o traumi oculari.

 

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

Prima dell’intervento il chirurgo può richiedere un’ampia gamma di analisi di entrambi gli occhi, incluse Tac, risonanze magnetiche ed ecografie.

 

Follow up

 

Dopo l’intervento devono essere utilizzati colliri e antibiotici. Inoltre è indispensabile tenere gli occhi a riposo fino a guarigione completata. In assenza di complicanze il paziente deve sottoporsi a controlli a 1, 7, 21, 60, 120 e 180 giorni dall’intervento.

 

Vitrectomia mininvasiva

Vitrectomia mininvasiva

 

La vitrectomia è una chirurgia del segmento posteriore del bulbo oculare (cavità vitreale) che consiste nell’asportazione del gel vitreale.  In origine la tecnica comportava il taglio e l’apertura della congiuntiva e l’apertura della sclera per entrare nella cavità vitreale; in seguito congiuntiva e sclera venivano suturati con punti riassorbibili.  Grazie allo sviluppo tecnologico degli strumenti di calibro ridotto, la vitrectomia mininvasiva mantiene le stesse capacità e consente la creazione di incisioni autosigillanti di 0,5 millimetri che non necessitano suture.

 

Che cos’è la vitrectomia mininvasiva?

 

Le indicazioni alla vitrectomia mininvasiva sono diverse, e oggi praticamente tutti gli interventi del segmento posteriore oculare possono essere eseguiti secondo questa tecnica.

Nell’applicazione di questa evoluzione tecnologica i nostri chirurghi della retina sono pionieri in Italia.

 

Questa tecnica viene utilizzata nei seguenti  casi:

 

-distacco della retina, semplice o complicato da proliferazioni

-retinopatia diabetica con o senza distacco di retina

-membrana epirretinica o Pucker maculare

-foro maculare completo o pseudoforo

-opacità vitreale legata al sanguinamento o problemi infiammatori

-uveite

-come strumento per diagnosticare malattie rare del segmento posteriore

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della vitrectomia mininvasiva?

 

L’intervento è eseguito attraverso incisioni molto piccole che non hanno bisogno di suture. Ne consegue un recupero funzionale più veloce con minore infiammazione intraoculare. I pazienti inoltre lamentano meno disturbi rispetto alla chirurgia tradizionale. La sicurezza della tecnica è stata validata in diversi studi clinici, dimostrando di avere un profilo di sicurezza uguale o superiore alla tecnica tradizionale.

La vitrectomia mininvasiva consiste anche in un cambio del tipo di anestesia, essendo stata sostituita l’anestesia generale con quella loco-regionale.  Più del 90% delle vitrectomie nel nostro centro sono eseguite in anestesia loco-regionale, la quale blocca i movimenti e la sensibilità del bulbo oculare e che insieme ad una accurata sedazione del paziente rende l’intervento molto più tollerabile per lo stesso. Ciò ha migliorato il comfort del paziente ed allo stesso tempo si sono ridotti i potenziali e gravi rischi di una anestesia generale, limitando anche il tempo di ricovero ospedaliero.

 

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

Partendo da una diagnosi accurata i pazienti con patologia chirurgica della retina vengono seguiti negli ambulatori specifici a disposizione dei nostri chirurghi.

Quando viene data l’autorizzazione all’intervento il paziente viene informato del tipo di operazione a cui verrà sottoposto per risolvere il suo problema, e se l’intervento chirurgico sarà in regime di day hospital.

Il paziente dovrà attendere la chiamata delle segretarie della Unità Operativa di Oculistica che programmeranno tutti gli esami di pre-ricovero necessari all’intervento (esami del sangue, visita dall’anestesista ed eventualmente del cardiologo o diabetologo). Al termine sarà decisa una data per l’intervento.

Le terapie dopo l’intervento sono decise dal chirurgo in base al tipo di chirurgia eseguita. Come regola generale tutti i pazienti dovranno fare una copertura antibiotica orale per i primi quattro giorni post-intervento ad istilleranno dei colliri antibiotici-antinfiammatori per circa un mese dopo l’intervento.

Il chirurgo talora utilizzerà tamponanti endoculari. Nel caso sia utilizzato gas oppure olio di silicone il paziente dovrà mantenere una postura particolare durante i primi giorni successivi l’intervento secondo le indicazioni dal chirurgo, per aiutare la corretta guarigione della retina.

 

Follow-up

 

Una volta eseguito l’intervento tutti i pazienti sono visitati il giorno stesso, ad una settimana, ad un mese ed al terzo mese  dall’intervento negli ambulatori specifici delle patologie vitreo-retiniche per permettere che il percorso di cura sia strettamente seguito dagli stessi chirurgi vitreo-retinici.

Chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane

Chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane

 

La chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto è una procedura di intervento conservativo alla quale si ricorre quando i difetti dell’articolazione coxofemorale sono particolarmente gravi o, per la loro natura, non possono essere trattati in artroscopia con la stessa probabilità di successo.

Che cos’è la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto è una tecnica alternativa all’artroscopia perché prevede un accesso chirurgico più ampio. È quindi una tecnica più invasiva che, tuttavia, si rende necessaria quando i difetti dell’articolazione coxofemorale hanno una particolare complessità.

Come funziona la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto viene eseguita con diverse tecniche. Generalmente viene creato un accesso chirurgico eseguendo un taglio che preservi il più possibile i muscoli. Successivamente si procede alle manovre ossee che servono a correggere la deformità specifica del paziente, sia essa una displasia, un conflitto o qualunque altra deformità congenita o acquisita. L’intervento viene eseguito cercando di danneggiare il meno possibile i vasi sanguigni che nutrono l’osso.

Quali sono i vantaggi della chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto è una tecnica che consente una più ampia capacità correttiva e maggiore precisione, permettendo al chirurgo di visualizzare l’articolazione e di operare con maggiore libertà. Per contro il trattamento è più invasivo dell’artroscopia, determina una maggiore perdita di sangue, una ferita più ampia, un tempo di guarigione e di ritorno al movimento più lungo.

Quali pazienti possono effettuare  la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

Il paziente candidato alla chirurgica a cielo aperto viene attentamente selezionato in base ad alcuni specifici parametri basati sulla gravita e complessità dei difetti all’articolazione.

La chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane è dolorosa o pericolosa?

L’intervento chirurgico a cielo aperto viene eseguito in anestesia generale. Il post-operatorio può essere doloroso e quindi viene impostata una adeguata terapia analgesica importante atta a rendere il dolore controllato e del tutto tollerabile dal paziente. I rischi legati all’intervento chirurgico includono: infezioni, trombosi venosa profonda, emorragia, osteonecrosi (ischemia del tessuto osseo), danni vascolari e neurologici e rischi collegati all’anestesia.

Sono previste norme di preparazione?

È importante continuare a mantenere un’attività fisica costante compatibilmente con il dolore. Circa un mese prima dell’intervento vengono eseguiti tutti gli accertamenti preliminari. In assenza di controindicazioni si procede con il predeposito del sangue, vale a dire con il prelievo in diversi momenti del sangue del paziente per riutilizzarlo al momento dell’operazione.

Una settimana prima dell’intervento viene chiesto di sospendere alcuni farmaci che impediscono la normale coagulazione del sangue, ad esempio l’aspirina.  In vista dell’operazione, è necessario munirsi di vestiti comodi, ad esempio una tuta, calzature con la suola di gomma a tacco basso e stampelle. Il giorno dell’intervento bisogna essere a digiuno dalla mezzanotte precedente. Dopo l’intervento sono necessarie calze elastiche antitrombo.

Follow up

È necessario seguire la profilassi antitrombotica con eparina nei 30-40 giorni successivi l’intervento. Prima dell’intervento il paziente viene istruito sugli esercizi per il recupero articolare e muscolare che verranno riproposti durante la fase di riabilitazione e che in un secondo momento il paziente potrà eseguire da solo a casa.

La rimozione dei punti viene solitamente eseguita dopo due settimane. Al paziente viene indicata la data del primo controllo e successivamente dovrà eseguire una radiografia e una visita ortopedica ogni 1 o 2 anni per verificare la funzionalità dell’articolazione e l’integrità della protesi.

 

Chirurgia protesica del ginocchio

Chirurgia protesica del ginocchio

 

Prima dell’intervento viene studiata la radiografia ed effettuata la pianificazione preoperatoria. In questa fase il chirurgo sceglie in modo definitivo la protesi.

L’intervento viene praticato normalmente in anestesia peridurale ma a seconda dei casi l’anestesista può scegliere una soluzione diversa. La tecnica chirurgica si avvale anche, in casi selezionati, dell’uso del navigatore e della tecnica mini-invasiva, con piccoli tagli cutanei e massimo rispetto dei muscoli.

L’intervento è seguito da una breve degenza in ospedale (in media dieci giorni).

Durante i primi due giorni a letto in posizione supina vengono eseguiti esercizi di mobilizzazione passiva ed attiva. Se necessario il paziente può stare in posizione eretta più precocemente (dopo un giorno).

Nella fase postoperatoria è importante un relativo isolamento del soggetto per evitare il rischio di infezioni: sono quindi utili visite programmate e rare dei parenti.

In seconda-terza giornata si rimuovono i drenaggi ed il paziente inizia la deambulazione assistita con due bastoni canadesi e un carico variabile a seconda delle indicazioni del chirurgo. In casi particolari (ad esempio revisioni o interventi complicati) al paziente non sarà concesso il carico per periodi da programmare con l’equipe. Per la ripresa della deambulazione è importante attenersi scrupolosamente alle indicazioni dei medici e dei terapisti riguardo il carico e l’uso di ausili. Si raccomanda l’uso di scarpe di gomma. Sono sconsigliate le stampelle con appoggio ascellare.

In conclusione, negli ultimi tempi sono stati compiuti notevoli progressi nella comprensione e nel trattamento della patologia artrosica del ginocchio. Siamo ora in grado con terapie mediche, chirurgiche e riabilitative adeguate, di migliorare notevolmente la qualità della vita dei pazienti colpiti da questa patologia ed anche di svolgere una prevenzione nei casi diagnosticati precocemente.

Vedi anche:

Impianto protesi del ginocchio monocompartimentale

Impianto protesi del ginocchio totale